Il documento del CISMAI in commissione Affari Costituzionali in merito alle telecamere nelle scuole

Il documento portato oggi dal Cismai alla Commissione Affari Costituzionali del Senato.

Onorevoli Senatori, a nome di tutta l’associazione volevo ringraziare per questa  opportunità.

Premessa

Il CISMAI è una realtà unica nel nostro Paese per le sue caratteristiche di interdisciplinarietà e di riflessione teorica a partire dalla pratica maturata da chi lavora sul campo. E’ partner per l’Italia dell’Ispcan, la più grande organizzazione internazionale sull’abuso e maltrattamento. Da 25 anni il CISMAI si occupa di maltrattamento e abuso all’infanzia, con i suoi 104 centri e servizi pubblici ( aziende sanitarie, servizi sociali, servizi di tutela ecc.) e privati (Centri specialistici per la cura dei bambini maltrattati, comunità di accoglienza e cura di bambini maltrattati, e di donne che hanno subito violenza) in tutto il territorio nazionale interviene direttamente nelle situazioni di violenza sulle bambine e sui bambini, sui ragazzi e sulle ragazze. I suoi associati sono medici, pediatri, psicologi, assistenti sociali ed educatori che si occupano nel concreto dei bambini e ragazzi vittime di maltrattamento, in tutte le sue forme, compreso il maltrattamento psicologico.

L’obiettivo fondamentale del CISMAI è quello di “costituire una sede permanente di carattere culturale e formativo nell’ambito delle problematiche inerenti le attività di prevenzione e trattamento della violenza contro i minorenni”.In questi anni la nostra associazione ha contribuito al riconoscimento delle forme più gravi e traumatizzanti di violenza, ancora sottovalutate e minimizzate, quali gli abusi sessuali, le trascuratezze croniche, il maltrattamento fisico, psicologico, la violenza assistita e l’abuso on line. Ha inoltre lavorato per una maggiore consapevolezza a livello sociale e scientifico della gravità dei danni derivati dalle diverse forme di maltrattamento all’infanzia e della necessità di intervenire precocemente sui traumi in modo adeguato e competente. Ha organizzato convegni nazionali e moltissimi seminari di formazione su questi temi.

Ha prodotto linee guida per orientare gli interventi degli operatori dell’area sanitaria,sociale ed educativa sull’abuso sessuale, sugli strumenti di prevenzione, sui requisiti minimi dei servizi e delle comunità che si occupano di bambini vittime di varie forme di maltrattamento,sulla base dell’esperienza clinica e scientifica maturata in questi 25 anni sul tema del maltrattamento all’infanzia e sul tema dei diritti inderogabili dei soggetti di minore età.

Pur condividendo appieno la preoccupazione per prevenire forme di maltrattamento sui bambini e su qualunque persona in difficoltà accolta in  strutture educative ed assistenziali – tema su cui l’associazione è fortemente impegnata anche attualmente con il Progetto  Europeo Sasca –‘Sostegno ad adulti sopravvissuti ad abusi
durante l’infanzia in contesti istituzionali’ che sta consentendo di confrontarci con
università, enti pubblici e associazioni di vittime provenienti da Italia, Irlanda, Grecia, Romania su esperienze/vicende diverse di maltrattamento all’infanzia in contesti residenziali il CISMAI esprime viva preoccupazione per le proposte contenute nel DDL 897 soprattutto riguardo alcuni argomenti:

Diffidenza diffusa

art. 1 In relazione alle finalità che il disegno di legge si propone vogliamo sottolineare che tutelare  non vuol dire “controllare”, per affrontare problematiche così complesse non si può partire dalla fine. Non possiamo rendere i luoghi di protezione e di educazione  una sorta di “Grande fratello” con videocamere, questa soluzione non affronta in termini preventivi la salvaguardia delle persone accolte né quella degli operatori.

 Le modalità di informazione utilizzate in tv e sui social, per raccontare degli accadimenti, sono fortemente responsabili dello stato di preoccupazione in cui vivono le famiglie che sempre più spesso perdono la fiducia nei confronti delle Istituzioni, questo modo  di affrontare i problemi suscitano e fanno crescere nei cittadini sempre più,  atteggiamenti sospettosi e diffidenti nei confronti di docenti, ed educatori in generale, e sentimenti di inquietudine che culminano nel timore, nella difficoltà, nella ritrosia a lasciare i bambini proprio in quei luoghi che storicamente sono stati considerati luoghi sicuri: mentre da un lato si lavora per una alleanza educativa del mondo adulto che possa sostenere la crescita dei piccoli, al tempo stesso si alimentano  sfiducia e sospetto.

L’art.1  parla di “patto di corresponsabilità educativa e presa in carico degli anziani e persone con disabilità” che di fatto sono strumenti che hanno l’obiettivo di  “Rafforzare la collaborazione tra istituzione e famiglia, anche attraverso la definizione di modalità, tempi e ambiti sempre più precisi di partecipazione ai percorsi attuati”,  ma di fatto  si propone un modello che va nella direzione opposta : quella del controllo e del sospetto .

Secondo questa logica le telecamere potrebbero essere installate in qualsiasi spazio di vita delle persone : sacrestie, oratori, studi pediatrici, scuole di grado superiore, istituti penali dove talvolta si perpetuano violenze psicologiche ugualmente gravi o addirittura a CASA dove spesso si consumano i peggiori maltrattamenti nei confronti delle persone maggiormente vulnerabili da parte di chi è in una posizione di preminenza.

Privacy

L’opinione pubblica è divisa tra chi vorrebbe installare telecamere di sorveglianza in ogni aula, e invece  chi ritiene che ciò non possa avvenire perché violerebbe palesemente i diritti dei lavoratori, potendosi attuare, tramite videosorveglianza, un meccanismo di controllo della prestazione lavorativa fortemente lesivo della dignità dei dipendenti, in palese contrasto con l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970).

Art. 4 La possibilità – in presenza di segnalazioni o denunce, quindi di preoccupazioni sulle condizioni di buon trattamento delle persone accolte – di installare telecamere o modalità che consentano una più efficace tutela è utile ed andrebbe attuata in tempi brevi  – diversamente da come accade oggi – in termini di prevenzione secondaria ma non come forma di prevenzione primaria.

Per quanto riguarda l’installazione delle telecamere negli asili nido e nelle scuole materne ci chiediamo invece se accettare la videosorveglianza continua per molti anni, nel delicato periodo della formazione caratteriale e psichica dei bambini, non possa determinare lo svilimento del concetto di riservatezza. Non vanno infine trascurate anche le probabili modificazioni comportamentali a cui – più o meno coscientemente – operatori e utenti andrebbero incontro sapendo di essere sotto il costante controllo delle telecamere.

Chi controlla

Altro problema è rappresentato da chi dovrebbe visionare le immagini e quindi interpretarle:le forze dell’ordine non hanno alcuna competenza in materia di educazione e spesso contenimenti ad alunni con difficoltà o diversamente abili, potrebbero essere interpretati come violenze e o intimidazioni. D’altronde la legge già prevede la possibilità di installare le telecamere ove vi siano denunce così come previste dalla norma.

Cosa fare

Alla luce di tutte queste considerazioni, il CISMAI ritiene quindi necessario un serio confronto per definire obiettivi di tutela più efficaci per non rischiare di arrivare un giorno all’utilizzo del VAR (in ambito sportivo l’assistente video dell’arbitro)!

art.4 Le misure di videosorveglianza proposte, non servono in alcun modo alla prevenzione delle violenze, consentendo l’intervento sempre e comunque a danno già compiuto.

 L’espediente proposto evidenzia probabilmente un fallimento  dello  Stato in termini di formazione, educazione, prevenzione, cultura che quindi reagisce imponendo una sanzione più o meno grave con la forza che deriva dall’esercizio del potere coercitivo, senza investire le medesime somme consistenti in interventi di prevenzione e supporto.

I fatti che sono accaduti sono gravi, ma bisogna approfondire risposte più efficaci affinché gli episodi spregevoli e assolutamente deplorevoli non debbano mai più  ripetersi.

Innanzitutto bisognerebbe chiedersi  perché il fenomeno del maltrattamento aumenta, perché le maestre o i maestri, gli operatori, diventano maltrattanti?

Gli insegnanti e gli operatori spesso lavorano con passione anche nelle condizioni più difficili: con una età avanzata, senza spazi adeguati, pochi strumenti a disposizione, in classi eccessivamente numerose (con un numero di alunni che talvolta arriva anche a 30) o con un numero di anziani e disabili non proporzionale al personale assunto. Esposti in ogni caso ad un lavoro usurante.

Occorrerebbe – come previsto dall’art. 2 co g – valutare la condizione da Stress Lavoro Correlato che purtroppo non viene presa in considerazione nonostante l’art. 28 del DL 81/08 e investire in risorse  a sostegno del personale.

E’ necessario puntare ed investire in un’elevata qualità dei servizi educativi che parta dalla definizione di un progetto pedagogico scientificamente orientato, non solo basato su “carte dei servizi, RAV o PTOF” che restano spesso incombenze da assolvere poco condivise ed applicate su campo.

È fondamentale una costante valutazione educativa che richiami ciascuno alla propria responsabilità e al proprio ruolo in collaborazione con le famiglie, converrebbe restituire per esempio in ambito scolastico al dirigente e i suoi collaboratori il compito di verifica, affinché sia la stessa scuola a vigilare sull’efficienza ed efficacia dei percorsi intrapresi e non chi è estraneo a questi temi.

Un ruolo importante va riconosciuto alla rete psicosociopedagogica (art. 2 co d e f) esterna alle strutture che – con uno sguardo interdisciplinare ed integrato con i servizi educativi – può e deve svolgere una funzione di sostegno e monitoraggio per i bambini e le famiglie, contribuendo alla rilevazione del disagio e del mal-trattamento ovunque accada e che si integri con il lavoro dei servizi .

In questo senso l’art. 2 co d e f  va sostenuto con misure economiche ed organizzative che prevedano concretamene la presenza negli organici delle diverse figure professionali stabili e competenti per il lavoro di èquipe, invertendo una tendenza in atto da anni che ha svuotato di possibilità e funzione le èquipe ed i servizi attraverso il depauperamento e lo smantellamento delle reti dei servizi di tutela.

 Così anche la responsabilità relativa al controllo e alla verifica dei requisiti delle strutture, che ricordiamoci è in mano agli Enti Locali (legge 328/2000) dovrebbe esser utile non solo a valutare gli aspetti strutturali, ma anche quelli relativi all’organizzazione e al personale.

 Crediamo dunque necessario assicurarsi – come previsto nell’art. 2 co a e b – che nei nidi, nelle scuole e nelle strutture lavori esclusivamente personale qualificato, con titoli ed esperienza adeguati, in grado di leggere i bisogni educativi e di dare le giuste soluzioni, convenientemente formato e in continuo perfezionamento professionale, con un valido coordinamento/supervisione psicopedagogica.

L’art.2 co c introduce in modo appropriato il tema della relazione empatica che rappresenta la principale risorsa per prevenire e contrastare il mal-trattamento. Ci raccomandiamo che tale formazione avvenga “in presenza”, con metodologie partecipative che consentano l’accoglienza e l’elaborazione della soggettività degli operatori, del disagio personale, professionale ed organizzativo che vivono ed alimentino le competenze di sintonizzazione, ascolto, cura  e protezione dei bambini che sono loro affidati, declinabili in gesti, parole, attività.

La formazione degli operatori deve essere integrata e coltivare aspetti anche deontologici che consentano a ciascuno di agire in modo responsabile nei confronti dei bambini affidati assumendo quando necessario una funzione di tutela all’interno della propria stessa organizzazione. In questo senso la costruzione condivisa  di strumenti di  policy per la prevenzione ed il contrasto del maltrattamento da parte dei servizi rappresenta – sulla scia di esperienze internazionali – una opportunità di crescita di consapevolezza e competenza dei singoli e delle organizzazioni con la possibilità di attivare dispositivi tempestivi di intervento qualora vi siano preoccupazioni inerenti a tutela dei bambini agiti nell’ambito del proprio contesto.

Per concludere,  riteniamo che ricorrere alla videosorveglianza corrisponderebbe ad ammettere la totale disfatta delle politiche socioeducative, significherebbe spezzare definitivamente quel “patto educativo” tra scuola, strutture e famiglie che dovrebbe invece costituire il cardine su cui si fonda l’intenzionalità della “Comunità Educante”.

E’ necessario e urgente investire fondi per attenuare il disagio e il mal-essere sempre più dilagante e garantire il BEN-ESSERE attraverso l’educazione alla  FIDUCIA  da “fidere – aver fede” necessaria per qualsiasi progetto “collettivo”.

Grazie per l’attenzione

Roma 24/01/2019

Per il direttivo CISMAI

Monica Procentese

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