I diritti dei bambini al tempo del virus

Chiara Saraceno- AIMMF

 

Che cosa succede ai bambini in epoca di restrizioni a causa del Covid-19 è al centro delle preoccupazioni dei genitori, ma anche di tutte quelle associazioni che si occupano di loro e dei ragazzi più vulnerabili. A un mese ormai dall’inizio della serrata a ogni tipo di mobilità e incontro, le preoccupazioni si fanno più forti e la sensazione che i bambini siano dimenticati dai diversi decreti che si susseguono è diventata acuta e diffusa.

Non ci sono più solo le richieste di consigli su che cosa fare con i propri figli, ogni giorno, tutti i giorni. E neppure solo le lamentele per la didattica online partita tardissimo, o mai partita, o fatta con buona volontà ma scarsa competenza da parte di molti insegnanti, per il sovraccarico di lavoro che seguire l’apprendimento dei figli impone a genitori che devono barcamenarsi tra il proprio impiego e la supervisione dell’attività dei figli.

Il web si riempie di petizioni di genitori e associazioni che chiedono più attenzione per diritti e bisogni di bambini e ragazzi, in particolare di quelli variamente svantaggiati e in difficoltà, come avevano già fatto, in un comunicato congiunto, le due maggiori reti di associazioni, Alleanza per l’infanzia e Investing in children.

Ci sono genitori che chiedono che anche i bambini abbiano almeno lo stesso diritto di uscire dei cani, rispettando rigorosamente le norme di distanziamento sociale. Il diritto “all’ora d’aria” è oggetto di una richiesta di genitori di ragazzi con disabilità psichiche (autistici ma non solo) perché questi ragazzi, cui è stata interrotta la routine quotidiana, a volte diventano violenti. Questi genitori lamentano anche l’assenza di previsione di attività e di sostegni specifici da parte della scuola che, oltre a lasciare le famiglie isolate, rischia di innescare un processo irreversibile di peggioramento delle capacità dei ragazzi.

Un’altra petizione, firmata da molte associazioni che si occupano di bambini e ragazzi in difficoltà, richiede un intervento coordinato e sistematico che coinvolga le scuole, il terzo settore, i servizi sociali comunali e il tribunale dei minori per sostenere i bambini e ragazzi che anche in tempi normali soffrono di povertà educativa, ma anche per non lasciare soli quelli in famiglie a rischio, con i quali era stato avviato un lavoro di sostegno e monitoraggio per evitare, ove possibile, l’affidamento provvisorio ad altra famiglia. Sono casi che coinvolgono migliaia di bambini e ragazzi.

Operatori del terzo settore, singoli insegnanti, qualche servizio sociale pubblico stanno facendo quello che possono con i mezzi che hanno e anche inventando strumenti e modalità nuove. Ma il tutto è affidato alle iniziative e alla generosità dei singoli, il cui lavoro è spesso misconosciuto (e mai nominato) e invisibile, anche se è l’unico argine contro l’isolamento e l’abbandono. E troppi bambini e ragazzi che avrebbero bisogno di aiuto, tanto più in questa situazione difficile, rimangono abbandonati a se stessi.
Nel decreto “Cura Italia” c’è poco o nulla. Sono stanziati fondi per l’acquisto di tablet, ma quando e come avverrà rimane indefinito. Si consente che gli operatori sociali continuino, se c’è la possibilità, a mantenere un servizio, ma senza indicazioni né risorse. Tutto è lasciato alle famiglie da un lato, alla disponibilità degli operatori sociali dall’altro, senza sostegni né finanziari né di altro tipo, e senza neppure valorizzazione. Perché il problema non è visto e i bambini e i ragazzi più vulnerabili sono invisibili. Ancora più oggi, “sequestrati in casa”.

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