Di fronte all’efferatezza del femminicidio di Chiara Gualzetti da parte di un coetaneo è molto difficile esaminare e commentare questa tragica vicenda con l’intento di riflettere e di rispondere a domande semplici e assolute: perchè? si poteva prevenire?
Quando, poi, associamo all’omicidio le dichiarazioni e i messaggi dell’assassino come sono state riportate dai media, restiamo ancora piu’ confusi e preoccupati. Non possiamo pensare che si arrivi a commettere un omicidio così efferato e preordinato senza che tutti quelli che negli anni hanno conosciuto il giovanissimo assassino non abbiano mai avanzato dubbi e sospetti sulle sue “inclinazioni”. Non puo’ bastare trincerarsi dietro la stantia considerazione della “follia” per mettere a tacere le responsabilità dei tanti attori della comunità degli adulti, dalla famiglia alla scuola, ai coetanei e ai conoscenti, per mettere a tacere le responsabilità di tutti coloro fra i quali l’assassino è vissuto e che l’hanno conosciuto, letto e ascoltato.
Anche per questo non ci rassegniamo ad archiviare l’assassinio di Chiara e farne un ennesimo dato statistico.
Tutti coloro che hanno la responsabilità dell’educazione e della formazione dei nostri ragazzi e ragazze devono interrogarsi e rispondere alla domanda se hanno fatto tutto quanto era necessario per conoscere, educare, sostenere e curare adolescenti come l’assassino di Chiara, senza abbandonarli alla consuetudine e alla fascinazione della cultura della sopraffazione e della violenza contro le donne.
Una non-cultura drammaticamente diffusa che non possiamo ignorare ricorrendo a categorie sbrigative: follia, raptus… La nostra arma è sì la giustizia, ma soprattutto la prevenzione, quindi lavorare per far prevalere un’altra cultura, con una particolare attenzione ai minori, di cui è urgente capire bisogni, disagi, rischi e percorsi di protezione. La prevenzione è un processo, un impegno da non abbandonare mai.
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