L’indice regionale sul maltrattamento all’infanzia in Italia pubblicato all’inizio di giugno 2018 sottolinea quanto il maltrattamento all’infanzia sia un fenomeno ancora sommerso, evidenzia la forte disparità nel contrasto e nella prevenzione del fenomeno tra il nord e il sud del nostro paese e la necessità di continuare a studiare questo fenomeno. I numeri parlano ancora di una maggiore incidenza del maltrattamento intrafamiliare.
L’uscita del libro “Curare i bambini abusati” Raffaello Cortina editore a cura di Marinella Malacrea riaccende i riflettori sull’abuso all’infanzia e evidenzia la presenza in Italia di una community scientifica cui fare riferimento, il CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia).
Marinella Malacrea è neuropsichiatra infantile, psicoterapeuta, è tra i soci fondatori CISMAI e autrice di numerosi testi sul tema come ad esempio “Trauma e riparazione” (1998) Raffaello Cortina editore o, con Silvia Lorenzini, ”Bambini abusati. Linee-guida nel dibattito internazionale” (2002) Raffaello Cortina, Milano.
Annalisa Di Luca (1), che ha curato l’intervista, a partire da alcune domande sul libro ha chiesto alla dottoressa Malacrea di aiutarci a comprendere meglio il fenomeno dell’abuso all’infanzia oggi.
Cosa ti ha spinto maggiormente a ideare un testo così nel 2018?
Due esigenze.
Innanzitutto dare una voce al prezioso lavoro terapeutico che in Italia da tempo si fa per i bambini vittime di abuso sessuale, anche in ambiti ‘difficili’ e considerati ‘in affanno’ come i servizi pubblici. Un lavoro che rischia di rimanere invisibile, perché raramente l’esperienza clinica viene tradotta in un racconto organico e dettagliato, prendendo una forma comunicabile. Così le rassegne bibliografiche mirate, e nel libro ce n’è una aggiornata ed estesa, pullulano di autori anglofoni molto attivi nel dare forma scritta al loro lavoro, mentre quello che si continua a fare nel nostro Paese rimane silente.
La seconda esigenza è promuovere non soltanto lo scambio tra professionisti, ma il senso di appartenenza a una ‘community’ di terapeuti impegnati con sfide così difficili. Sappiamo quanto ancora, e non solo in Italia, correnti, varianti, indirizzi metodologici in terapia si siano moltiplicati, abbiano creato scuole, indotto a sentirsi non raramente competitori. Ma, nel confronto diretto con il caso clinico, molto più frequentemente emergono profonde similitudini nella concettualizzazione del caso e anche nell’intervento, sempre più spesso necessariamente multimodale.