Cismai: “Troppi pregiudizi, sentenze sbilanciate a favore di chi abusa”

I pregiudizi e le maggiori risorse di cui godono gli adulti condizionano giustizia, forze dell’ordine, avvocati, e conducono, nella maggior parte dei casi, all’impunità. Una ricerca ha dimostrato che nel 64,9% dei casi i procedimenti si concludono in archiviazioni, nei 35,1% con rinvii a giudizio. Conclusi con una condanna solo il 73% dei casi (su 35), 18 con pene detentive, 15 con condizionale, 2 con pene pecuniarie. La rivoluzione potrebbe arrivare dal recepimento della Convenzione di Lanzarote, cominciando a tenere in considerazione cosa pensano i bambini di questi strumenti di protezione. Ma l’Italia ha ancora tanta strada da fare.

“Proteggere i bambini nell’Italia che cambia”

Stati generali sul maltrattamento dell’infanzia

Torino, 12-13 dicembre 2013

GIUSTIZIA MINORILE: “TROPPI PREGIUDIZI, SENTENZE

SBILANCIATE A FAVORE DI CHI ABUSA”

I pregiudizi e le maggiori risorse di cui godono gli adulti condizionano giustizia, forze dell’ordine, avvocati, e conducono, nella maggior parte dei casi, all’impunità. Una ricerca ha dimostrato che nel 64,9% dei casi i procedimenti si concludono in archiviazioni, nei 35,1% con rinvii a giudizio. Conclusi con una condanna solo il 73% dei casi (su 35), 18 con pene detentive, 15 con condizionale, 2 con pene pecuniarie. La rivoluzione potrebbe arrivare dal recepimento della Convenzione di Lanzarote, cominciando a tenere in considerazione cosa pensano i bambini di questi strumenti di protezione. Ma l’Italia ha ancora tanta strada da fare

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TORINO – La giustizia minorile, in Italia, ha bisogno di una rivoluzione. Sono ancora troppi i casi in cui il giudizio dei tribunali è influenzato da pregiudizi, a favore dell’adulto che abusa. Di questo si è parlato nel pomeriggio della prima giornata degli Stati Generali sul maltrattamento dell’infanzia del Cismai – Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia, dal titolo emblematico “Proteggere i bambini nell’Italia che cambia”.

I migliori esperti italiani e stranieri si sono radunati presso l’Auditorium di Torino per discutere di tematiche importanti, troppo spesso ignorate dai media. Riportando esempi concreti. Come quello di Harriet Stump, una ragazza inglese di 14 anni, che ’11 dicembre 1880 subì violenza sessuale dal panettiere, Francis Burholt, presso il quale prestava servizio come domestica. La moglie del violentatore, accortasi dell’accaduto, costrinse Harriet al silenzio e la segregò in casa; per poi cominciare a maltrattarla. Harriet raccontò tutto alla madre, che denunciò il signor Burholt. Il medico della polizia rilevò che l’imene era stato lacerato, ma non di recente; e che non era però compatibile con la violenza perché sarebbe già dovuta scomparire ogni traccia (era passato un mese). Il signor Burholt si giustificò dicendo che era solo un gioco, ma il 17 maggio venne arrestato per stupro. Durante il processo, la difesa disse che Harriet aveva bevuto, che era una ragazza con un comportamento facile con i ragazzi, che il maestro l’aveva accusata di “insincerità”, che si era mascherata ad una festa in casa Burholte che in quell’occasione aveva cantato una canzone volgare. Il signor Burholt venne assolto.

“Harriet non venne creduta perché i pregiudizi minano la fiducia e la credibilità – spiega Andrea Bollini, direttore Centro Studi Sociali sull’Infanzia e l’Adolescenza “Don Silvio De Annuntiis”, Scerne di Pineto, e consigliere Cismai – e la sua storia è ancora straordinariamente attuale. Esistono stereotipi e pregiudizi (miti di violenza, cultura della violenza) che portano a screditare la testimonianza della vittima e minano l’imparzialità di giudizio a favore dell’adulto che abusa. Questi pregiudizi, detti ‘distorsioni cognitive’, possono arrivare a mettere il bambino vittima nelle condizioni di impedirgli di rendere una testimonianza serena e a subire una seconda vittimizzazione. Da qui la definizione di ‘testimone fragile’ “.

I pregiudizi e le maggiori risorse di cui godono gli adulti condizionano giustizia, forze dell’ordine, avvocati, e conducono, nella maggior parte dei casi, all’impunità. Una ricerca dell’equipe multidisciplinare Cappucceto Rosso, Torino, condotta su 131 procedimenti negli anni 1992-2006, ha dimostrato che nel 64,9% dei casi i procedimenti si concludono in archiviazioni, nei 35,1% con rinvii a giudizio. Conclusi con una condanna solo il 73% dei casi (su 35), 18 con pene detentive, 15 con condizionale, 2 con pene pecuniarie.

La rivoluzione potrebbe arrivare dal recepimento della Convenzione di Lanzarote, un apparato di norme finalizzato a proteggere la vittima e a “vedere tutto il percorso processuale penalistico dal punto di vista del minore, dell’interesse superiore del minore e del rispetto dei suoi diritti (art. 30), con la stessa priorità data all’imputato” (Ministero della Giustizia, Nuove prospettive nella tutela del minore. Il progetto CURE e gli altri strumenti internazionali, Roma, 2011).

L’Italia ha recepito la Convenzione nel 2012 ma il recepimento non implica la sua immediata attuazione, in quanto, se non viene modificato con specifiche norme l’ordinamento interno, essa non può essere veramente efficace. “La legge 172/2012 – continua Bollini – introduce solo alcune norme di adeguamento (poche), lasciando sostanzialmente inalterato l’attuale sistema di protezione giudiziario del minore vittima. In questo modo, il puro recepimento della Convenzione, composta di 50 articoli, rischia di essere una mera enunciazione di diritti, priva di efficacia. Si può dire che oggi la Convenzione di Lanzarote sia stata recepita, ma il cammino di adeguamento del nostro ordinamento è solo all’inizio”.

“La categoria del ‘teste vulnerabile’ – spiega Daniela Diano, psicologa e psicoterapeuta, socio fondatore della Società Italiana di Studi sullo Stress Traumatico – ricomprende non solo le vittime in senso stretto, ma tutte le persone che possono patire, per le ragioni più svariate, un effetto negativo dal contatto con la giurisdizione”. Un primo passo verso la protezione del minore in questo senso è quello di cominciare a chiedersi cosa pensano i bambini degli strumenti di protezione messi a loro disposizione dall’ordinamento. “Chiedersi cosa pensano i bambini – spiegano Donata Bianchi, Istituto degli innocenti di Firenze, e Federico Zullo, dell’associazione Agevolando – implica creare in noi adulti uno spazio mentale per immaginare possibile che un bambino esprima la propria opinione sulle prestazioni/interventi/azioni che stiamo facendo con/per lui/lei; implica riconoscere il bambino come soggetto attivo di una relazione; cedere una parte di “potere” in relazione al “sapere” cosa è meglio per lui/lei; accettare il cambiamento (di culture e pratiche professionali, organizzative, assetti personali, ecc…); e infine accettare e assumersi la responsabilità che proporre un ascolto attivo e finalizzato a rafforzare i soggetti nelle loro potenzialità. Nonché, naturalmente, aprire spazi di partecipazione”.

Numerose ricerche hanno dimostrato con chiarezza che per i ragazzi e i bambini coinvolti in percorsi di tutela e cura l’ascolto è inteso come un’occasione di essere informati, esprimere liberamente il proprio punto di vista e offrire chiarimenti, esprimere un’opinione su ciò che accade, partecipare alle decisioni, uscire dalla solitudine dell’essere un “caso” per diventare interlocutore o parte di un gruppo. “Chiedono assunzione di responsabilità da parte dell’adulto per gli errori compiuti – spiegano gli studiosi – riconoscendo la particolare vulnerabilità del bambino (pratica della riflessività). I bambini e le bambine esprimono l’esigenza di essere considerati interlocutori competenti quando gli adulti decidono su questioni che concernono la loro vita, le loro relazioni. Chiedono di avere un feedback su ciò che accade”.