Dentro il più grande network italiano di revenge porn, su Telegram

da WIRED

Siamo entrati nella chat dove oltre 40mila persone ogni giorno mettono in scena il rito collettivo dello stupro virtuale di gruppo. Foto delle ex, ma anche pedopornografia, in uno spazio online accessibile a chiunque che può rovinare una vita

 

Oltre 43mila iscritti in due mesi, 21 canali tematici collegati e un volume di conversazioni che si aggira sui 30mila messaggi ogni giorno. Il più grande network italiano di revenge porn è su Telegram, in un’enorme chat accessibile a tutti, contenente foto e video di atti erotici e sessuali pubblicati senza il consenso o la consapevolezza delle vittime e utilizzati per mettere in scena il rito dello stupro virtuale di gruppo, in una sistematizzazione su scala preoccupante di un fenomeno di cui ci eravamo già occupati poco più di un anno fa.

Scavando nello spazio ospitato dal servizio di messaggistica russo è però possibile ritrovare anche numeri di telefono e recapiti social, richieste esplicite di “rendere la vita impossibile” alle ex partner, possibilmente inviando loro gli stessi scatti intimi di cui hanno perso il controllo. Una spirale perversa, che culmina in alcuni casi nella pubblicazione di materiale pedopornografico: video di minori (talvolta anche di otto-dodici anni) che sarebbero vietati persino dal pur permissivo regolamento interno della piattaforma, e che nella maggior parte dei casi diventano oggetto di trattativa privata.

Nelle ultime ore il caso è arrivato all’attenzione degli utenti di Twitter, in seguito alla testimonianza di una ragazza che ha ritrovato per caso alcune sue foto sul gruppo e ha denunciato pubblicamente l’accaduto.

Dentro il branco virtuale

Chi ha dodicenni?” esordisce “Ragazzo”, che come quasi tutti i membri del gruppo partecipa alla discussione con un account fake, non collegato a un numero di telefono. “Magari” gli risponde 77gg77, prontamente accontentato da “booh” che digita solo “cercami”. Dove il sottinteso è: accordiamoci in privato.

 

Continua a leggere su WIRED