PREMESSA
Il documento parte dalla considerazione che un bambino (2) collocato fuori dalla sua famiglia vive ed ha vissuto esperienze sfavorevoli che hanno reso imprevedibile ed instabile il suo contesto di crescita e sofferto conseguenze sul suo sviluppo; ha quindi bisogno di stabilità, sicurezza e responsività.
La letteratura e la clinica ci insegnano che le esperienze sfavorevoli rappresentano un danno all’attaccamento che si ripropone nei nuovi legami che il bambino instaura.
Questo documento enuclea i principali elementi su cui porre attenzione nell’impostazione degli interventi a favore dei bambini e delle bambine per i quali è necessario un collocamento in affido, tenendo conto in modo specifico delle esperienze traumatiche che hanno vissuto al fine di costruire un percorso tutelante per loro, per le famiglie da cui provengono e per le famiglie che li accolgono.
Il documento si richiama e si pone in integrazione con precedenti importanti lavori già realizzati(3).
I numeri consistenti di bambini che restano in comunità per un lungo tempo (4) ci suggerisce l’urgenza di riflettere sugli affidi difficili o che falliscono al fine di poter adottare strategie più efficaci, sulla temporaneità, che appare in molti casi residuale, e più in generale su quale modello di affido si adatta maggiormente ai bisogni di attaccamento dei bambini.
Il documento intende fornire un focus teorico e metodologico a partire dalle teorie sull’attaccamento e sul trauma (5).
Ambito di intervento e definizioni
La cornice giuridica dell’affido è definita dalla Legge 4 maggio 1983 n. 184 (“Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”) che ha introdotto l’istituto dell’Affidamento familiare. La stessa legge introduce una differenza tra affidamenti cosiddetti “consensuali”, ovvero disposti dal Servizio Sociale locale con il consenso dei genitori o dal genitore esercente la responsabilità genitoriale, o dal tutore, e reso esecutivo dal Giudice Tutelare del luogo di residenza del minorenne per una durata massima di 24 mesi e affidamenti “giudiziali”, cioè disposti dal Tribunale per i Minorenni, che interviene qualora manchi il consenso dei genitori ovvero del tutore.
Le principali caratteristiche che definiscono l’affido familiare e lo differenziano dall’istituto affine dell’adozione sono state storicamente il carattere temporaneo, il mantenimento dei legami con la famiglia di origine, la possibilità che anche coppie non sposate e single possano diventare affidatari.
Le successive modifiche introdotte dalla Legge 28 marzo 2001 n. 149 (“Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184”) prevedono la possibilità di prolungare il Progetto di Affidamento oltre i due anni.
Infine la Legge 19 ottobre 2015 n. 173 “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184” prevede che il bambino affidato, qualora fosse successivamente dichiarato adottabile possa essere adottato dagli affidatari che l’hanno accolto. Nello stesso tempo la stessa legge prevede che il minorenne continui a mantenere rapporti con la famiglia affidataria anche se dovesse essere adottato da altra famiglia o se rientrasse nel proprio nucleo familiare di origine.
Tali modifiche hanno fatto cadere alcune tra le principali differenze tra i due istituti; la durata temporanea e il mantenimento dei legami.
Oggi l’affido consiste in una successione di attaccamenti e separazioni; per la maggioranza dei bambini l’affido comporta una separazione dai caregiver biologici con i quali hanno già formato una relazione di attaccamento; la formazione e il mantenimento di una relazione di attaccamento con i caregiver affidatari. Un prolungato periodo della loro infanzia in cui sono copresenti due set di caregiver e infine, nel migliore dei casi, una nuova separazione dai caregiver affidatari e un ricongiungimento ai caregiver biologici. Possiamo quindi considerare la crescita nel contesto dell’affido come una successione di congiunzioni e distacchi che sicuramente influiranno sugli esiti dello sviluppo. In altre parole l’affido è un processo di separazioni e attaccamenti che deve essere adeguatamente sostenuto e monitorato al fine di evitare interruzioni traumatiche dei legami e la costruzione di modelli del Sé dissociati e non integrati e che può esporre ad un esito evolutivo a rischio psicopatologico (Norman e coll. 2012). Per i bambini è quindi necessario che l’esperienza di affido garantisca livelli sufficienti di continuità e integrazione del Sè. Il percorso di affido deve quindi essere pensato affinchè faciliti la doppia connessione del bambino alle due famiglie attraverso il contatto e la coerenza tra i due sistemi familiari coinvolti, in funzione del raggiungimento di sufficienti livelli di integrazione. Sempre più frequentemente i bambini che vanno in affido provengono da contesti in cui hanno dovuto fronteggiare esperienze avverse e spesso sono portatori di esiti di traumi; il percorso di affido deve quindi essere organizzato per fargli sperimentare complessivamente una esperienza correttiva dell’attaccamento.
LE ESIGENZE DEI BAMBINI IN AFFIDO
L’intervento dell’affido deve garantire il rispetto delle esigenze dei bambini che si possono sintetizzare in:
Garantire l’ascolto e la protezione
Da molto tempo il CISMAI ha evidenziato i rischi che un atteggiamento “adultocentrico” comporta nel lavoro di tutela e protezione dei bambini; nell’affido il rischio è che gli operatori abbiano maggior consapevolezza dei bisogni e dei desideri degli adulti che di quelli dei bambini. L’adultocentrismo del sistema di tutela e protezione genera il paradosso della scarsa considerazione dei bisogni dei bambini e l’insuccesso di un loro efficace ascolto.
Il numero degli affidi giudiziali è ampiamente maggioritario; nel citato rapporto del Centro Nazionale di Documentazione per l’Infanzia e l’Adolescenza viene evidenziato che gli affidi di tipo giudiziale sono pari a quattro affidamenti su cinque. A differenza degli affidi assistenziali e consensuali, in questa tipologia di affidamenti nei genitori di origine è presente spesso oppositività al progetto di affido, assenza di riconoscimento del danno inferto al figlio, scarsa disponibilità a riconoscere la propria responsabilità e ad accettare un trattamento.
Raccomandazioni
• Il progetto di affido deve garantire ai bambini livelli adeguati di ascolto, come previsto dalla legge n. 219 del 10 dicembre 2012, che sancisce il diritto del figlio “di essere ascoltato in tutte le procedure che lo riguardano”, inclusi ovviamente i percorsi di affido familiare;
• Il progetto di affido deve garantire ai bambini livelli di protezione adeguati soprattutto nelle situazioni in cui ha subito maltrattamenti o abusi sessuali;
• La protezione deve essere garantita soprattutto qualora la famiglia d’origine metta in atto atteggiamenti rivendicativi e manipolatori coinvolgendo e strumentalizzando il bambino; a tal fine devono essere valutata la sospensione dei rientri del bambino e definiti incontri in Spazio Neutro.
Garantire la riparazione
I bambini che vanno in affido provengono da contesti in cui hanno dovuto fronteggiare esperienze avverse: spesso hanno subito traumi dovuti a trascuratezza, maltrattamenti e abusi sessuali; hanno sperimentato assenza di protezione e una genitorialità scarsamente sensibile e responsiva. Arrivano nella famiglia affidataria feriti, confusi, sofferenti. Questi bambini hanno sviluppato strategie emotive e relazionali per poter sopravvivere in situazioni avverse, che però continuano ad impiegare anche nel nuovo contesto di cura.
Ciò li pone nella condizione di essere mal equipaggiati per trarre vantaggio dalla cura di buona qualità, amorevole e responsiva, essendo poco attrezzati per rispondere a cure genitoriali protettive.
Raccomandazioni
• La prima esigenza dei bambini in affido è quella di poter sperimentare una esperienza correttiva dell’attaccamento. E’ necessario che i genitori affidatari con gli opportuni supporti, si costituiscano come referenti del percorso riparativo del bambino;
• La seconda fondamentale esigenza riguarda il fatto che l’esperienza di affido garantisca livelli sufficienti di continuità e integrazione del sé. Il percorso di affido deve quindi essere pensato affinché faciliti la doppia connessione del bambino con le due famiglie – di origine e affidataria attraverso il contatto e la coerenza tra questi due sistemi familiari. In altre parole l’affido è un processo di separazioni e attaccamenti che deve essere adeguatamente sostenuto e monitorato;
• Infine una terza e fondamentale esigenza è quella di garantire un livello sufficiente di elaborazione. Un percorso riparativo presuppone che man mano che il bambino evolve verso una maggior sicurezza, sperimentando nuovi modelli di relazione, sia anche sostenuto nell’attribuire un corretto significato alla propria esperienza.
Esperienza di affido e attaccamenti multipli
I bambini in affido sviluppano plurimi legami di attaccamento; la loro esigenza è che questi legami siano rispettati, protetti e ove possibile conservati.
L’affido può essere concepito come un sistema umano complesso che coinvolge il bambino, la sua famiglia d’origine (fratelli e genitori biologici), la sua famiglia affidataria (fratelli acquisiti e genitori affidatari).
Possiamo considerare il contesto di sviluppo dei bambini in affido attraverso un paradigma scientifico relativamente nuovo: quello degli attaccamenti multipli.
I bambini possono costruire legami di attaccamento con più persone contemporaneamente e il ruolo di principale figura di attaccamento può essere svolto da una persona diversa dalla madre naturale. Il bambino ha quindi degli attaccamenti primari e secondari; esiste tuttavia una gerarchia tra le diverse figure di attaccamento del bambino e quest’ultimo sceglie di rivolgersi all’una o all’altra figura in base alle proprie esigenze e alla disponibilità dei caregiver. La scelta della figura di attaccamento principale e delle figure secondarie di attaccamento da parte del bambino cambia a seconda della disponibilità momentanea di tali persone, del contesto e dell’età del bambino (Cassibba 2003).
Il contesto di crescita dei bambini in affido comporta, una separazione dai caregiver biologici con i quali si è già formata una relazione di attaccamento, la formazione e il mantenimento di una relazione di attaccamento con i caregiver affidatari, un prolungato periodo dell’infanzia in cui sono co-presenti due set di caregiver, una nuova separazione dai caregiver affidatari e un ricongiungimento ai caregiver biologici (Vadilonga 2011). Nella maggior parte degli affidi si assisterà quindi ad una successione di caregiver, biologici e affidatari, che si alterneranno nella posizione di figura di attaccamento principale e secondaria.
Raccomandazioni
I bambini sono predisposti ad avere multiple relazioni affettive ma possono trarre giovamento da queste se vengono garantite condizioni contestuali con sufficienti livelli di accordo tra i differenti caregivers.
La complementarietà nell’affido tra famiglia affidataria e famiglia d’origine
Essere legati a diversi caregivers espone i bambini al rischio di conflitti di lealtà. Sebbene una delle funzioni del progetto di affido sia quella di offrire un percorso di recupero a genitori inadeguati per i quali la valutazione ha evidenziato sufficienti risorse, tuttavia la prassi ci pone di fronte al dato di fatto che il recupero della famiglia di origine non è mai del tutto realizzabile o, viceversa, del tutto inattuabile. Un gran numero di genitori di origine si collocano infatti in un territorio grigio e, pur non costituendo un pericolo per i figli, conservano una residualità affettiva e relazionale che va mantenuta.
Questo quadro andrà inevitabilmente ad influire sulla definizione del progetto di affido e sulla sua durata, incidendo nel definire i livelli di sostituzione o affiancamento.
Nella maggioranza degli affidi i bambini saranno quindi in relazione con due set di genitori, e i genitori affidatari assumeranno di fatto una funzione di affiancamento, offrendo al bambino le risposte ai bisogni di protezione e sicurezza che i genitori di origine non sono in grado di fornire.
Raccomandazioni
• Deve essere garantita alle famiglie d’origine uno spazio di elaborazione e
crescita nella funzione genitoriale.
• Deve essere reso esplicito ai caregiver coinvolti, di origine e affidatari, la necessità di raggiungere adeguati livelli di co-genitorialità compatibilmente con le risorse residue presenti nella famiglia di origine;
• Va perseguito l’obiettivo di costruire e mantenere nel tempo una alleanza genitoriale reciproca tra famiglia affidataria e famiglia di origine.
TIPOLOGIE DI MINORENNI IN AFFIDO
Per quanto venga dato per scontato che l’affido può essere indicato per bambini di ogni età, paese di provenienza e cultura, sono tuttavia presenti maggiori pregiudizi nella promozione di progetti di affido nei confronti dei bambini piccoli e degli adolescenti e nei confronti dei minori stranieri.
Gli affidamenti dei bambini piccoli
Il rapporto indica che la percentuale di bambini in affido familiare al di sotto dei 5 anni è complessivamente del 14,2% (0-2 anni 4,7% e 3-5 anni 9.5%); in riferimento alle altre fasce di età i bambini “piccoli” in affido sono quindi decisamente di meno. Possiamo ipotizzare che ci siano dei pregiudizi nel collocare in affido bambini piccoli, pregiudizi che si basano sull’idea che un bambino piccolo farà un legame di attaccamento con gli affidatari e che la successiva interruzione di questo legame costituirà un trauma; paradossalmente vengono preferiti collocamenti apparentemente neutri, come le comunità, a scapito del bisogno dei bambini di relazioni affettive stabili che solo in una famiglia possono essere garantite.
Raccomandazioni:
• L’affido è un processo di separazioni e attaccamenti che deve essere adeguatamente sostenuto e monitorato al fine di evitare interruzioni traumatiche dei legami.
• Ciò che causa trauma non è la separazione in sé, ma le modalità con cui questa avviene; l’attenzione deve quindi essere posta sulla capacità dei diversi protagonisti dell’affido di fronteggiare la separazione.
• Una particolare attenzione va posta verso l’affido di neonati che si avvia in situazione di urgenza e richiede tempi brevi di durata e una definizione precoce in merito al futuro del bambino.
Gli affidamenti degli adolescenti
Al contrario la percentuale di adolescenti in affido familiare (al di sopra dei 11 anni) è complessivamente del 56,6% (11-14 anni 30,8% e 15-17 anni 25.8%) in riferimento alle altre fasce di età i bambini “piccoli” in affido sono quindi decisamente di meno. E’ possibile che alcuni affidi di adolescenti riguardino bambini che sono diventati adolescenti durante l’esperienza di affido. Negli altri casi si potrebbe osservare che si interviene troppo tardi; l’affido inizia ad essere utilizzato massicciamente quando i bambini sono grandi e si apprestano ad entrare in adolescenza.
In ogni caso la gestione dell’affido di un adolescente comporta punti di attenzione specifici.
• L’ascolto dell’adolescente e la ricerca di condivisione sul progetto sono prioritari per realizzare un progetto d’affido; è quindi indispensabile la reale partecipazione e l’adesione dell’adolescente al progetto stesso;
• L’affido deve favorire i compiti evolutivi specifici dell’adolescenza;
o costruire una identità integrata;
o fare esperienza di una genitorialità positiva che possa favorire la
ristrutturazione delle rappresentazioni di sé e dell’adulto;
o rielaborare le esperienze con la famiglia d’origine raggiungendo
consapevolezza sulla situazione.
• Le famiglie affidatarie devono essere formate e sostenute per facilitare il
raggiungimento di questi compiti.
L’attenzione alle specificità del collocamento in affido di minori stranieri
Negli ultimi anni il numero di minori stranieri presenti in Italia, con o senza famiglia è stato crescente; si tratta di garantire ai minori stranieri gli stessi strumenti di aiuto di cui usufruiscono i ragazzi italiani, incluso quindi l’affido familiare. Ovviamente i progetti d’affido che riguardano i minori stranieri non possono prescindere dalla conoscenza delle differenze culturali e religiose.
L’affido familiare di minori stranieri può distinguersi in base alle difformità tra la cultura del bambino e la cultura della famiglia affidataria; l’affido può quindi
caratterizzarsi come omoculturale o eteroculturale.
I minori stranieri presenti in Italia rientrano prevalentemente in due tipologie; i
minori stranieri residenti, con famiglia e i minori stranieri non accompagnati.
Entrambe le tipologie di minori provengono da background diversi e sono quindi
portatori di riferimenti culturali diversi.
I minori stranieri residenti in Italia con famiglia hanno il compito evolutivo di
integrare due identità culturali; spesso sono esposti ad episodi di rifiuto e
discriminazione sociale in quanto parte di una cultura minoritaria, o a modalità di
gestione dell’integrazione da parte della famiglia di origine disadattive o
conflittuali.
I minori stranieri non accompagnati, oltre ad avere gli stessi problemi di
integrazione dei minori stranieri residenti, provengono da una esperienza
migratoria che rappresenta già di per sé uno choc culturale ed identitario in cui il
soggetto si trova di fronte alla sfida di dover ridefinire il proprio progetto di vita e
la propria identità. Bisogna inoltre considerare le maggiori vulnerabilità di questi
minorenni non solo perché si trovano a dover affrontare, senza il supporto di
figure di attaccamento adulte, stress e pericoli derivanti dalla migrazione, ma
spesso in aggiunta traumi e situazioni estreme ad essa connesse.
In termini generali, l’esperienza migratoria può determinare esiti psicopatologici
rilevanti tra cui il disturbo da stress post-traumatico (PTSD) e la comparsa di
sintomi ad esso associati, come somatizzazioni, ansia, depressione, ritiro sociale,
comportamenti esternalizzanti, disturbi del sonno (Bronstein e Montgomery,
2011).
Raccomandazioni
• Le famiglie affidatarie disponibili all’accoglienza di un bambino straniero devono
essere selezionate sulla base della capacità di accettare e riconoscere la
diversità etnica e sulla base della disponibilità a confrontarsi con modelli culturali diversi dai propri;
Le famiglie affidatarie disponibili all’accoglienza di un bambino straniero non accompagnato devono essere in grado di favorire l’elaborazione dell’esperienza
migratoria e degli eventuali traumi ad essa connessi.
• Non bisogna cadere nell’errore di sottovalutare l’esposizione dei minori stranieri
a comportamenti genitoriali inadeguati o maltrattanti, identificando i bisogni
meramente assistenziali o educativi come quelli più idonei a cui l’affido può
dare risposta;
• Il percorso metodologico ed operativo per l’affido di minori stranieri deve
essere altrettanto rigoroso come quello di minorenni italiani, sia per i ragazzi
stessi, che per le famiglie d’origine e affidatarie (vedi i punti 2 e 3 in
riferimento a valutazione, abbinamento, sostegno dei diversi protagonisti
dell’affido);
• Nelle azioni di sensibilizzazione e promozione dell’affido non devono essere
trascurati i gruppi di diverse etnie presenti nel territorio e le eventuali
associazioni culturali rappresentative, al fine di favorire la costituzione di
risorse utili a concretizzare affidi omoculturali;
• Le famiglie affidatarie italiane, disponibili all’accoglienza di un minore straniero,
devono essere specificamente formate a questo compito.
I PRESUPPOSTI METODOLOGICI
La realizzazione di un affido è un intervento complesso che non può essere
improvvisato; è necessario seguire rigorose metodologie per evitare di
compromettere il benessere dei bambini coinvolti, dissipare la disponibilità
delle famiglie affidatarie e incrementare la sfiducia e la diffidenza delle famiglie
di origine.
Progetto e cura delle relazioni
Essere accolto da una famiglia rappresenta la migliore opportunità per un
bambino che non può rimanere nella sua famiglia di origine; affinchè questo
collocamento si costituisca come una “esperienza correttiva dell’attaccamento”
è necessario che venga definito un progetto.
E’ opportuno che il progetto sia steso per iscritto, condiviso e firmato dalla
famiglia affidataria, dalla famiglia di origine, dagli operatori e dal minorenne
stesso, quando il progetto d’affido coinvolge un adolescente6
.
Il progetto deve contenere indicazioni relativamente:
• alla tipologia di affido (consensuale, giudiziario, ecc…)
• agli obiettivi
• al tempo e la durata
• alla regolamentazione dei rapporti tra il bambino e la sua famiglia di
origine.
Deve contemplare i compiti della famiglia affidataria, della famiglia d’origine.
L’intervento degli operatori, come ci dicono le ricerche (Palacios), sono un
fattore di rischio/protezione che rientra a pieno titolo nel definire gli esiti
dell’affido stesso; pertanto in piena trasparenza anche gli operatori devono
assumere i propri impegni e definire, nella stesura del progetto, gli interventi
individuati l7) .
Il progetto deve definire i necessari interventi di sostegno e le eventuali
psicoterapie; i bambini traumatizzati, le loro famiglie di origine e le famiglie
affidatarie che li accolgono, hanno il diritto di essere presi in carico (valutati,
preparati, supportati) da servizi dotati di operatori professionalizzati e
competenti.
Raccomandazioni
• Devono essere individuati gli operatori coinvolti e definiti i rispettivi compiti;
• Devono essere definiti gli impegni e compiti della famiglia affidataria e della
famiglia di origine.
• Deve essere pianificato e organizzato il passaggio delle informazioni
affinchè tutti siano adeguatamente informati dell’evoluzione dell’affido;
• In considerazione del fatto che il progetto può mutare nel tempo devono
essere definite verifiche periodiche tra i sottoscrittori del progetto
stesso.
• Si raccomanda che gli interventi di valutazione, preparazione e sostegno
vengano attuati da personale qualificato e specializzato che tenga sempre
conto della complessità del contesto di affido.
• Una importante raccomandazione è relativa al fatto che la complessità
dell’affido comporta una preparazione accurata e una costante cura delle
relazioni. Si raccomanda quindi l’adozione di una metodologia rigorosa e
scientificamente fondata nelle diverse fasi necessarie a preparare e
sostenere i diversi protagonisti dell’affido.
Famiglie affidatarie
Formazione
Le famiglie affidatarie devono essere adeguatamente formate.
In integrazione con le LI racc. 313.1 si sottolinea come l’assenza di formazione
comporti che i genitori affidatari entrino nel processo di affido con buona
volontà, ma inconsapevoli delle implicazioni e delle sfide che l’affido comporta,
oltre che dei modi appropriati ed efficienti per far fronte a queste sfide.
La scelta di aprirsi all’accoglienza implica da un lato un percorso di formazione
finalizzato a comprendere e conoscere le dinamiche relazionali ed evolutive dei
bambini in affido, dall’altro un processo di conoscenza e autoconsapevolezza
che permetta di far emergere le risorse di cui le famiglie possono disporre per
il progetto di affido, così come la presenza di vincoli e vulnerabilità.
Raccomandazioni:
• E’ opportuno che il percorso formativo avvenga prima o durante la
valutazione affinchè possa essere esaminata la rielaborazione delle
informazioni ed esperienze trasmesse;
La formazione delle famiglie deve prevedere un percorso strutturato,
preferibilmente condotto da due operatori di differente professionalità,
che fornisca informazioni di cornice giuridiche e sociali e approfondisca
le tematiche psicologiche dei bambini in affido quali la conoscenza della
teoria dell’attaccamento, delle conseguenze post-traumatiche e l’impatto
sui caregiver, delle possibilità di riparazione che l’affido rappresenta;
• Sono da favorire momenti formativi di gruppo co-condotti,
preferibilmente composti da 4 o 5 famiglie/singoli individui (non
superando le 10 unità), con l’obiettivo di orientare, informare e formare
i partecipanti (single, coppie e famiglie) sulle tematiche psicologiche e
sociali dell’affidamento familiare; assume a tal fine particolare
importanza l’affiancamento di genitori affidatari che hanno avuto o
hanno in corso un affidamento che introducano la propria esperienza da
affiancare agli elementi formativi proposti dagli operatori.
• Per poter incidere significativamente sulla riorganizzazione e la
rielaborazione delle risorse e dei limiti personali implicati nello sviluppo
di competenze genitoriali positive è necessario introdurre un modello di
apprendimento basato sull’esperienza al fine di favorire la ridefinizione
di quelle eventualmente inadeguate e di valorizzare quelle più
appropriate;
• La formazione deve avere un carattere di continuità: oltre i percorsi
formativi prima dell’inizio dell’affido devono essere previsti moduli
formativi durante l’esperienza di affido, privilegiando percorsi di gruppo.
I percorsi di gruppo sono altrettanto importanti per il confronto e il
sostegno tra famiglie affidatarie e devono essere proposti alle famiglie
affidatarie come percorso parallelo all’esperienza di affidamento.
Valutazione
Per quanto sia previsto dalla legge e dalle LI8 un percorso di conoscenza e di
valutazione delle persone disponibili all’accoglienza in affido familiare, a
differenza dell’adozione, non sono individuate le caratteristiche e le condizioni
specifiche necessarie ad essere riconosciuti idonei allo svolgimento della
funzione di genitori affidatari.
Le ricerche più recenti evidenziano tra i fattori di rischio relativi al fallimento
dell’affido, accanto ad una insufficiente formazione e una inadeguata
preparazione, l’assenza di specificità nella valutazione della disponibilità della
famiglia affidataria.
Bisogna ribadire la necessità di una valutazione specifica che oltre ad
evidenziare le dinamiche familiari, la disponibilità al confronto e al reciproco
sostegno, sia focalizzata sugli stili di attaccamento e le competenze genitoriali.
Nei colloqui di approfondimento è opportuno esplorare le motivazioni alla base
della disponibilità offerta alla luce della fase del ciclo vitale in cui si trova la
famiglia; se presenti dei figli, è opportuno ascoltarli, al fine di comprendere se
la scelta dell’affido è compatibile con i loro bisogni evolutivi. E’ necessario
individuare quale bambino (sesso, età, problematiche, caratteristiche del
nucleo di origine) sentono di poter accogliere e gestire.
Parimenti è opportuno che la disponibilità ad accogliere sia valutata in
riferimento alla capacità di proteggere e contenere bambini con difficoltà di
attaccamento e comportamenti post-traumatici, a quella di tollerare situazioni
conflittuali o frustranti e di condividere l’esperienza genitoriale con la famiglia
di origine.
Infine è bene inoltre tenere presente i fattori di rischio evidenziati in
letteratura: rigidità delle attese; presenza di patologie; traumi e perdite non
risolti; lutti recenti; opposizione di uno dei due membri della coppia;
precedenti affidi con esito negativo; concezione privatistica dell’affido.
Raccomandazioni
• Necessaria di una valutazione specifica, cioè focalizzata sulle
competenze e le capacità genitoriali piuttosto che sui tratti di
personalità: la valutazione degli affidatari non deve essere focalizzata
solo sull’asse normalità/patologia, ma piuttosto sulla capacità di
accogliere, proteggere, contenere bambini con difficoltà di attaccamento
e comportamenti post-traumatici;
• Gli operatori devono avvalersi di strumenti specifici per valutare le
competenze genitoriali, le capacità di utilizzare le strategie di coping in
situazioni conflittuali o frustranti, le capacità di condividere l’esperienza
genitoriale con la famiglia di origine in un’ottica di co-genitorialità.
• La valutazione deve procedere di pari passo con la formazione; si
devono compiutamente informare gli aspiranti affidatari al fine di
valutare la rielaborazione e l’interiorizzazione di quanto appreso.
• Deve essere stesa una relazione sociale e psicologica alla fine del
percorso valutativo sulla adeguatezza della famiglia aspirante affidataria
formulando prime ipotesi di abbinamento anche in relazione alle
specificità traumatiche dei bambini.
Preparazione/Abbinamento
Per preparazione della famiglia affidataria si intende, a differenza della
formazione, la preparazione ad accogliere lo specifico bambino individuato ed è
quindi strettamente connessa all’abbinamento. Alla luce di un adeguato
percorso di preparazione, si attende che le famiglie affidatarie siano in grado di
comprendere le difficoltà e le problematiche del bambino, riconoscerne con
sensibilità i segnali di disagio, accogliere e gestire l’espressione distorta dei
bisogni da parte del bambino.
E’ importante che in questa fase 9 vi sia una corretta trasmissione di
informazioni sulla storia del bambino. Tale modalità si costituisce come un
contesto che può aiutare i genitori affidatari ad attribuire un corretto
significato alle comunicazioni del bambino, ed una cornice più generale nella
quale collocare eventuali comportamenti post-traumatici. Le informazioni
devono includere dettagli circa i motivi dell’allontanamento, l’eventuale
presenza di maltrattamenti, abusi sessuali o altri generi di esperienze
traumatiche verificatisi prima o dopo l’allontanamento dalla famiglia d’origine,
le precedenti collocazioni del bambino (ove verificatesi), le caratteristiche dei
genitori biologici e l’eventuale presenza di patologie psichiatriche, le dinamiche
relazionali nel nucleo d’origine.
Raccomandazioni
• La preparazione ha una valenza valutativa ed autovalutativa; alla luce
delle informazioni trasmesse gli affidatari e gli operatori referenti
calibreranno le risorse/reazioni suscitate e si confermeranno sulla
positività della scelta effettuata.
• La preparazione deve comprendere la trasmissione delle informazioni
relative alla storia del bambino senza censure.
Sostegno
Un’ottica di accompagnamento e sostegno ai percorsi di affido fin
dall’inserimento del bambino nel nucleo, unitamente ad una attenta
valutazione, può assumere una valenza preventiva rispetto all’insorgenza di
crisi e fallimenti nel progetto di affido.
Si ribadisce la necessità di affiancare ad interventi di sostegno “generalisti”,
come ad esempio il gruppo di sostegno alle famiglie affidatarie, utile intervento
di primo livello, auspicabile in tutti i territori dove è attivo un Servizio Affidi,
programmi di sostegno “specialistici” focalizzati sull’incremento della
genitorialità positiva. Gli interventi specialistici di sostegno alla genitorialità
affidataria devono essere brevi ed efficaci; l’importante meta-analisi di Juffer,
Bakermans-Kraenenburg e van Ijzendorm (2003) dall’emblematico titolo “Less
is more” ha mostrato che l’efficacia degli interventi nel produrre dei
cambiamenti nella sensibilità genitoriale è inversamente proporzionale alla
durata.
È fondamentale che la famiglia non si senta abbandonata o non capita riguardo
le difficoltà che può incontrare lungo il percorso di affido, o magari non creduta
rispetto a comportamenti e rivelazioni espressi dal bambino accolto.
Raccomandazioni
• Necessaria una conoscenza specifica del bambino da parte degli
operatori che hanno il compito di sostenere i genitori affidatari: la
possibilità di offrire ai genitori affidatari un sostegno specifico è
conseguente alla conoscenza del funzionamento del bambino. Ciò
consente di evitare interventi generalisti basati sulla conoscenza
generica del funzionamento dei bambini e non sulla conoscenza specifica
del funzionamento di quel bambino.
Famiglia d’origine
Valutazione
Si ritiene che prima di progettare un affido ci debba essere stata una
valutazione approfondita della famiglia di origine volta ad acquisire
informazioni utili a formulare una lettura relazionale del comportamento
“inadeguato” dei genitori (diagnosi) e la previsione delle reali possibilità di
recupero/cambiamento che possa portare i genitori ad occuparsi
adeguatamente dei loro figli (prognosi).
Una valutazione “specialistica” ci può consentire di capire il funzionamento
mentale dei genitori al fine di poter costruire un progetto di affido che
contempli la possibilità di sostenere adeguatamente la genitorialità di origine;
tale lavoro di sostegno potrà esitare in un “recupero” sufficiente ad ipotizzare il
rientro del bambino o in un “recupero” sufficiente a garantire al bambino la
fruibilità di una genitorialità residua.
Raccomandazioni
• La valutazione deve avere tempi adeguati e non può protrarsi troppo a
lungo nel tempo; permette di individuare la tipologia e il progetto di
affido a partire dalla chiarezza di un possibile rientro dei bambini in
famiglia o viceversa dall’impossibilità che questo possa avvenire;
• Affinchè possano essere messe in atto opportuni interventi di sostegno e
terapia, devono essere valutate nello specifico le competenze genitoriali
connesse ai pattern di attaccamento che orientano le strategie di
accudimento.
Preparazione
E’ importante prevedere laddove questo è possibile il coinvolgimento e la
partecipazione dei genitori del bambino nella preparazione del percorso di
affidamento familiare, in funzione della loro capacità di mettersi in discussione
e di aprirsi al cambiamento della propria situazione familiare.
Raccomandazioni
• I genitori di origine devono essere informati del progetto, riconosciuti e
sostenuti nella elaborazione del dolore e della sofferenza per la
separazione dal proprio figlio;
• Inoltre i genitori, se adeguatamente informati e coinvolti, possono avere
un ruolo importante nella preparazione del figlio, legittimandolo ad
accettare il nuovo collocamento. Di contro, in alcune situazioni e
soprattutto nelle tipologie di affido giudiziale, l’informazione e la
preparazione della famiglia di origine deve essere disgiunta da quella del
bambino, poiché non può essere dato per scontato che l'”interesse” del
figlio e quello dei suoi genitori coincidano.
Sostegno
Il progetto di affido deve contemplare sempre la presa in carico della famiglia
di origine. Gli interventi di sostegno, e quelli più propriamente terapeutici,
devono avere più focus.
Raccomandazioni
• Il primo riguarda il recupero della genitorialità, cioè il lavoro volto al
superamento delle disfunzioni relazionali e personali alla base della
inadeguatezza familiare.
• Il secondo riguarda l’incremento delle competenze alla base della
genitorialità positiva. Alla luce delle profonde differenze nel
funzionamento mentale dei singoli, che poi hanno ricadute nei differenti
stili genitoriali, ne consegue che le strategie di intervento debbano
essere differenziate in funzione delle diverse carenze e traumi. Deve
essere sostenuta la capacità empatica di chi ne è privo, contenuta
l’emotività di chi tende ad enfatizzare le emozioni, favorita
l’elaborazione in coloro che faticano a mentalizzare.
• Tutti i genitori dovrebbero poi essere sostenuti nel processo di
elaborazione dei vissuti di perdita connessi al proprio status genitoriale e
alla vicinanza e intimità con il proprio figlio, con l’obiettivo di contrastare
i modi poco funzionali per fronteggiare il dolore; aiutati a far evolvere le
proprie strategie autoprotettive verso modalità meno dannose per i
bambini; accompagnati nel riequilibrare le proprie rappresentazioni a
vantaggio di una rappresentazione più adeguata dei figli.
• Gli interventi di sostegno devono essere modulati non soltanto sui fattori
di rischio, ma anche su quelli di protezione, potenziando le capacità di
accesso alle risorse della rete sociale e sostenendo complessivamente i
genitori nei diversi compiti che la genitorialità comporta.
Bambini
Valutazione
E’ fondamentale conoscere il funzionamento mentale dei bambini che devono
essere collocati in affido e il contesto relazionale di accudimento al quale sono
stati esposti. Tale funzionamento va declinato in termini di stili,
rappresentazioni e strategie di attaccamento. La valutazione deve includere le
conseguenze sul funzionamento del bambino derivante dalla eventuale
esposizione a traumi, sia in termini di sintomi, sia in termini di risposte
difensive e adattive.
Raccomandazioni
• E’ compito di chi effettua l’approfondimento diagnostico tracciare una
mappa del funzionamento mentale del bambino e metterla a
disposizione in primo luogo di chi effettuerà l’abbinamento e presenterà
il bambino ai futuri affidatari e in secondo luogo agli stessi caregiver.
Preparazione
Affinché il bambino possa essere adeguatamente preparato al collocamento in
affido deve essere coinvolto nel processo decisionale attraverso le più
opportune forme di ascolto; affinchè tale diritto non resti una affermazione di
principio, bisogna essere consapevoli che l’ascolto presuppone l’informazione al
bambino dell’oggetto della decisione e degli effetti che essa avrà per lui.
Raccomandazioni
• Il bambino deve essere informato su un eventuale progetto di affido per
potere esprimere le proprie aspirazioni e opinioni su decisioni che lo
coinvolgono direttamente.
• Il processo di elaborazione ha inizio per il bambino proprio nel momento
in cui si progetta l’affido, e deve includere un lavoro di riflessione
rispetto ai motivi per cui è stato allontanato dai suoi genitori ed il
significato della sua collocazione in affido.
Sostegno e Terapia
Si segnala la necessità che il bambino sia “ascoltato” durante il percorso di
affido, al fine di verificare il suo stato di benessere e dargli modo di esprimere
il suo punto di vista. Il collocamento in un nuovo contesto famigliare
rappresenta una esperienza potenzialmente “terapeutica” per i bambini in
quanto comporta una spinta al cambiamento dei modelli operativi in termini di
rappresentazioni e di strategie. Si ritiene pertanto prioritario intervenire in
primo luogo sulle relazioni con i caregiver affidatari, al fine di incrementare i
benefici dell’esperienza riparativa in corso. Interventi terapeutici specifici,
devono essere focali, mirati e motivati dalla necessità di facilitare il
superamento di eventuali traumi.
Raccomandazioni
• Si consiglia una presa in carico “ecologica” sia per il sostegno che per il
trattamento del bambino in affido. Essendo il bambino inserito in un
sistema complesso con due set di genitori, la presa in carico deve
avvenire all’interno delle relazioni significative del bambino sia con la
propria famiglia di origine che con quella affidataria.
• Ciò che viene compreso del funzionamento del bambino deve essere
utilizzato per incrementare la conoscenza sul suo funzionamento sia nei
caregiver biologici che in quelli affidatari.
Il sostegno ai bambini in affido a scuola
Si ritiene fondamentale che i bambini in affido, analogamente ai bambini
collocati in adozione e ai bambini ospiti delle strutture di protezione, possano
usufruire di un adeguato sostegno all’inclusione scolastica e sociale. A tal fine
si condividono le recenti Linee guida per il diritto allo studio delle alunne e
degli alunni fuori dalla famiglia di origine formulate dal MIUR (Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) e dall’Autorità Garante per
l’Infanzia e l’Adolescenza, che forniscono indicazioni generali utili a garantire
nell’istruzione dal punto di vista amministrativo, sociale, pedagogico e
psicologico, pari opportunità ai minorenni fuori famiglia. Si sottolinea
l’importanza di azioni di sostegno sia alle problematiche di apprendimento che
a quelle di comportamento. Nel primo caso le esperienze avverse vissute prima
del collocamento in affido interferiscono con la motivazione, l’attenzione e la
capacitò di elaborare le informazioni. Nel secondo caso spesso i vissuti
collegati alla perdita e alti livelli di disregolazione emotiva rendono i bambini
maggiormente sensibili ai cambiamenti nella routine quotidiana e ai passaggi
di ciclo scolastico.
Aspetti metodologici trasversali
Abbinamento
Quando detto sull’importanza della valutazione sia del bambino che della famiglia
affidataria trova una prima importante applicazione nell’abbinamento. Si tratta di
verificare se i bisogni e le caratteristiche del bambino sono compatibili con i
bisogni e le caratteristiche delle famiglie affidatarie individuate come
potenzialmente idonee.
Raccomandazioni
• I bisogni delle famiglie affidatarie sono del tutto legittimi; la valutazione
deve metterli in luce, superando semplicistiche motivazioni di tipo oblativo;
l’abbinamento deve individuare la famiglia potenzialmente più adatta per
quel bambino.
• La verifica di compatibilità non deve comprendere solo la previsione di un
buon “incastro” tra il funzionamento del bambino e quello della famiglia
affidataria, ma anche la capacità/disponibilità della famiglia affidataria di
accogliere il background del bambino e cioè le caratteristiche della sua
famiglia d’origine, incluse le problematicità e quindi la storia del bambino.
Ne consegue che la famiglia affidataria deve essere informata con
trasparenza, chiarezza e completezza sul background familiare del bambino
e la sua storia e sull’impatto che le esperienze traumatiche di cui il bambino
è portatore possono avere sul processo di affidamento.
Avvicinamento
E’ opportuno che i tempi e le modalità di avvicinamento del bambino alla famiglia
affidataria siano concordate tra gli operatori che conoscono la famiglia affidataria e
quelli che conoscono il bambino e la sua famiglia di origine.
Sarebbe opportuno, quando possibile, iniziare a creare le basi di una
collaborazione attiva tra le due famiglie, affidante e affidataria, predisponendo un
incontro di conoscenza e condivisione del progetto, preliminare all’incontro con il
bambino.
Anche il bambino va preparato all’incontro con gli affidatari con modalità
opportune legate all’età e con l’obiettivo che possa avere chiaro come si realizzerà
il passaggio sia nei tempi che nelle modalità.
I tempi dell’avvicinamento dovranno considerare il bisogno del bambino e degli
affidatari di esplorare la nuova relazione senza aggiungere elementi emotivamente
stressanti come l’ansia della troppa attesa o la fatica a gestire un cambiamento di
vita troppo rapido.
Raccomandazioni
• Prevedere la presenza di un adulto di riferimento durante l’incontro con gli
affidatari in modo che il bambino possa sentirsi maggiormente al sicuro in
un momento emotivamente stressante;
Il passaggio dalla famiglia di origine o dal luogo in cui si trova il bambino a
quella affidataria comporta anche il dolore relativo alla separazione dalle
sue figure di attaccamento; sarà quindi importante sostenere gli affidatari
nel cogliere e rispecchiare il bambino in quello che prova.
Monitoraggio
Per la buona riuscita dell’affido, è centrale una costante cura dei rapporti e un
attento monitoraggio. La complessità degli affidi, che spesso si protraggono per
tempi lunghi, e che impegnano notevolmente le famiglie anche nella gestione delle
relazioni con i nuclei di origine, ci spinge a raccomandare una attenta attività di
monitoraggio. Particolare attenzione va posta alla regolamentazione dei rapporti
tra il bambino e la famiglia di origine. L’incontro con la famiglia biologica può
rappresentare per il bambino un momento delicato soprattutto quando le
esperienze sfavorevoli siano state gravi o dove la famiglia affidataria esprima
preoccupazioni pertanto deve essere garantita la necessaria protezione.
Raccomandazioni
• Il monitoraggio è compito del servizio che ha in carico la tutela del bambino
(in genere quello che la titolarietà dell’intervento) in raccordo con i servizi
per l’affido laddove presenti.
ESITI, TEMPI E CONCLUSIONI DELL’AFFIDO
Le modalità di conclusione dell’affido e il successivo collocamento dei bambini
è un passaggio estremamente delicato sul quale non vengono fatte sufficienti
riflessioni. Abbiamo solo alcuni dati di tipo quantitativo e ci mancano del tutto,
a livello nazionale, dei dati qualitativi. Si incrociano in questa riflessione il
tema della durata degli affidi, quello del successivo collocamento dopo la fine
dell’affido, l’interruzione precoce degli affidi e gli eventuali fallimenti e le prassi
per una corretta conclusione.
La durata e le possibili conclusioni degli affidamenti
Per quanto riguarda la durata dell’affido, il citato rapporto del Centro Nazionale di
Documentazione per l’Infanzia e l’Adolescenza rileva un trend che perdura ormai
da svariati anni. Gli affidi che durano oltre i due anni sono complessivamente il
61,1%, dai 2 ai 4 anni il 18,8%, e oltre i 4 anni il 42,3%; la permanenza
prevalente nel collocamento in affido è indicata oltre i 4 anni.
Di fatto assistiamo da anni all’incremento della durata dell’affido che possiamo
ipotizzare legata ad una molteplicità di fattori convergenti:
• le sempre maggiori resistenze a dichiarare adottabile un bambino,
nonostante sia evidente l’impossibilità del recupero della famiglia d’origine;
• l’adultocentrismo del sistema di tutela e protezione dei minorenni;
• l’insufficiente lavoro per il recupero della famiglia d’origine;
A questo proposito è doveroso notare che anche quando l’affido si conclude solo
nel 33,9% dei casi i bambini fanno ritorno nella loro famiglia di origine, e, come
commentano gli estensori del citato rapporto, non è dato sapere se questo avviene
in quanto la famiglia di origine ha acquisito le capacità necessarie ad assolvere con
sufficiente adeguatezza il compito di accudire i propri figli.
Al polo opposto troviamo che il 12,2% di bambini, dopo la conclusione dell’affido
viene dichiarata adottabile e collocata in affidamento preadottivo; questo dato,
seppure si riferisce ad un periodo precedente l’entrata in vigore della legge sulla
continuità degli affetti, pone i due istituti, l’affidamento familiare e l’adozione, che
per tanto tempo sono stati concepiti e percepiti come due percorsi divergenti, in
stretta continuità e successione. Bisogna aspettarsi che con l’entrata in vigore
della legge 736 tale avvicinamento dei due istituti sia maggiore, allineando il
nostro paese a molti paesi europei e agli Stati Uniti, dove la gran parte delle
adozioni viene messa in atto a partire da collocamenti in affido familiare.
Infine una terza tipologia di collocamento dopo la conclusione dell’affido è quella
del mantenimento del bambino nel circuito dell’accoglienza, sia essa di tipo
educativo in strutture residenziali che nell’ambito di un nuovo collocamento
familiare. Si tratta del 28,1% dei bambini in affido che dopo la conclusione nel
16,3% dei casi viene collocato in un servizio residenziale e nel 11,8% di nuovo in
affido familiare.
Gli affidi che si concludono: garantire la continuità degli affetti
Fare un affido significa attivare una esperienza che influirà profondamente
nelle relazioni fra tutti i componenti del sistema allargato per un periodo molto
lungo della loro vita. Analogamente influirà a livello soggettivo per i bambini,
contribuendo alla formazione della loro personalità. Anche se l’esperienza
dell’affido si dovesse concludere con il rientro del bambino presso la famiglia
d’origine, le relazioni costruite nel tempo rimarranno e il modo attraverso cui
avverrà la separazione dalla famiglia affidataria confermerà o smentirà la
bontà dell’esperienza effettuata. La famiglia affidataria può avere una
funzione che va molto al di là della durata dell’affido e della sua eventuale
chiusura; può costituire un riferimento per il bambino sia di tipo esteriore,
attraverso il mantenimento dopo la conclusione dell’affido di una relazione con
lui, sia di tipo interiore, attraverso le rappresentazioni e i modelli interiorizzati
nell’interazione nel contesto affidatario. Le normali reazioni che le persone
manifestano nell’affrontare la perdita non devono essere negate agli affidatari;
essi, in nome del principio ideologico della temporaneità non devono inibire i
sentimenti di tristezza e non devono essere legittimati nel mettere in atto
difese di evitamento e negazione della sofferenza gestendo l’umana difficoltà
ad affrontare e gestire la perdita, attraverso un taglio netto e tempi rapidi. Di
fatto ciò porta anche a negare una continuità affettiva, negazione avvallata dal
sistema che tende a percepire le famiglie che si propongono quali riferimenti
affettivi dopo la conclusione dell’affido come coloro che vogliono sostituire i
genitori biologici nel cuore del bambino. Del resto se la famiglia di origine
riaccoglierà in casa il proprio figlio non sarà più lo stesso bambino di prima; se
l’affido ha funzionato il bambino porterà in sé le tracce delle nuove relazioni e il
compito dei genitori d’origine deve essere quello di cogliere questi aspetti del
figlio e di valorizzarli, per evitare di distruggere il valore di una esperienza
fondante.
Raccomandazioni
• Così come nel progettare l’affido devono essere individuati per tempo gli
spazi di relazione tra il bambino e i suoi genitori di origine, così, nel
progettare la conclusione dell’affido è importante prevedere in che modi
verranno mantenuti i rapporti tra il bambino e la famiglia affidataria
dopo la separazione. Tale assunto, sempre valido, dovrà essere
graduato sulla intensità e durata dell’esperienza affettiva del bambino.
Gli affidi che non si concludono; verso l’adozione aperta
I dati che abbiamo mostrato ci mettono di fronte al fatto che un gran numero
di bambini collocati in famiglie affidatarie sono destinati a crescere dentro il
sistema dell’ affido. Tuttavia questa forma di affido duraturo e continuativo
appare ancora oggi, nonostante le evidenze, “negata”; tutto ciò ha delle
ricadute sul benessere dei bambini e rende la loro vita imprevedibile, precaria
giuridicamente e instabile affettivamente.
L’obiettivo da porsi deve essere quello di dare un contesto di vita stabile e
sicuro ai bambini che ne sono privi, riconoscendo tuttavia che tale obiettivo
può essere perseguito anche prevedendo il mantenimento dei legami tra il
bambino e la sua famiglia di origine.
Raccomandazioni
• Appare necessario dotare il sistema italiano di una terza forma di
accoglienza che si collochi tra l’affido e l’adozione, così come oggi sono
concepiti dalla legge. Tale forma di accoglienza è praticata in altri paesi
ed è conosciuta come adozione aperta;
• Appare altresì necessario legittimare gli affidi che non si concludono
attraverso la creazione di un canale giuridico ad hoc avvalendosi di quanto
la legge già oggi prevede e molti Tribunali utilizzano (articolo 44 lettera d
della legge 184/1983);
• Infine andrebbe posto un limite alla possibilità di prorogare la durata degli
affidi lasciando i bambini in situazioni indefinite per anni; le ricerche ci
mostrano che un contesto di crescita instabile ha importanti ripercussioni
sulla definizione dell’identità e sul senso di prevedibilità della propria vita.
Bisognerebbe quindi al più tardi, entro la seconda proroga biennale, rendere
obbligatoria una decisione giuridica di dichiarazione di adottabilità,
valutando l’eventuale mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine,
così come da più parti si propone;
• Dall’esperienza di altri paesi e dall’analisi della letteratura è possibile
graduare diversi livelli di apertura che non deve necessariamente coincidere
tout court con il mantenimento dei rapporti tra il bambino e la sua famiglia
di origine, ma può prevedere un gamma di contatti, dallo scambio di
informazioni ad eventuali incontri pianificati;
• La decisione del mantenimento dei contatti pianificati tra il bambino e la
famiglia di origine è una forma di apertura che deve poter essere valutata
caso per caso; come deve poter essere sperimentata, laicamente, sia sul
piano giuridico che clinico questa nuova (per noi) forma di accoglienza, in
considerazione che gli studi internazionali sugli esiti ci confortano che
l’apertura strutturale non rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo
del bambino.
L’interruzione dell’affido
A volte gli affidi si concludono inaspettatamente a causa della sopravenuta
indisponibilità della famiglia affidataria o per altre complesse motivazioni.
Sebbene non siano reperibili dati specifici, tuttavia sappiamo che un certo numero
di bambini va incontro ad un fallimento dell’affido, ad un conseguente
collocamento in comunità e a volte all’inserimento in una nuova famiglia
affidataria; altri bambini a loro volta possono andare incontro ad un fallimento del
reinserimento nella famiglia d’origine e al collocamento in struttura o in una nuova
famiglia affidataria.
Si tratta dei bambini, i più sfortunati, che avranno un percorso di crescita
particolarmente frammentato e per i quali l’affido non si costituirà come una
opportunità integrativa, ma al contrario avrà contribuito alla costruzione di modelli
del Sé dissociati e non integrati (Vadilonga 2011); i diversi collocamenti che si
sono succeduti nel percorso di crescita di questi bambini, unitamente alla
proposizione di modelli di relazione incoerenti tra loro e reciprocamente
incompatibili, in assenza di una mente che rispecchi ciò che provano e che li
sostenga nell’attribuire significato alla loro esperienza li condurrà verso un esito
evolutivo a rischio psicopatologico (Liotti 1999, Caviglia 2003, Barone 2007).
Raccomandazioni
• L’accompagnamento alla chiusura dell’affido deve essere garantita al
bambino e alla famiglia affidataria anche quando questa avviene in
modo inaspettato e brusco da parte della famiglia affidataria.
• Necessaria una raccolta dati continuativa e ampia sul territorio nazionale
che ci dia indicazioni qualitative oltre che quantitative sulle conclusioni
dell’affido e le eventuali interruzioni.
LA CURA DELLA RETE E L’INTEGRAZIONE DEGLI OPERATORI
DELL’AFFIDO
Ogni affido deve essere frutto di un progetto promosso dagli operatori e
condiviso con i partecipanti. La complessità alla base dei progetti d’affido rende
altrettanto complesso il lavoro di rete e l’integrazione tra servizi; curare la rete
permette di prevenire i fallimenti.
Il lavoro di rete
Le criticità nel lavoro di rete nell’ambito della tutela dei minori attengono a
diverse dimensioni: culturali, metodologiche ed organizzative.
Sul piano culturale, un buon progetto di affido dovrebbe conciliare le esigenze
di protezione dei bambini con quelle di cura e recupero dei genitori; è quindi
opportuno sostenere l’affermazione di una cultura dell’affido che vada in
questa direzione.
Sul piano metodologico e organizzativo, l’attivazione di un progetto d’affido
comporta il coinvolgimento di diversi enti – Servizi Tutela Minori, Servizi sociali
territoriali, Servizi per l’affido, ASL e Aziende Ospedaliere (Consultorio
Familiare, Neuropsichiatria, Psichiatria, Ser.D Servizio per le Dipendenze) –
oltre che dell’Autorità Giudiziaria. Risulta quindi fondamentale la condivisione
tra gli operatori coinvolti di diversa professionalità, appartenenti ad enti con
strutture amministrative e gerarchiche differenti. Promuovere e gestire un
progetto d’affido comporta quindi un lavoro di rete, dal quale non si può
prescindere. Una rete per funzionare ha comunque bisogno di un regista; la
regia è fondamentale per favorire la definizione dei rispettivi ruoli e funzioni,
connettere i diversi punti della rete, fissare, far rispettare le scadenze,
calendarizzare e promuovere incontri periodici programmati e riunioni
straordinarie volte a definire criticità, cambiamenti o riorientamento del
progetto.
Raccomandazioni
• La regia compete al servizio che ha in carico la tutela del bambino (in
genere quello che la titolarietà dell’intervento) sia negli affidi giudiziari
che in quelli consensuali e all’operatore individuato all’interno di quel
servizio, in raccordo con i servizi per l’affido laddove presenti.
• Storicamente l’affido ha visto come promotori realtà del privato sociale e
molti servizi affidi sono gestiti attualmente da agenzie e strutture
private in collaborazione con strutture pubbliche. Risulta quindi
fondamentale raccomandare alti livelli di collaborazione e integrazione
tra servizio pubblico e privato sociale.
L’integrazione dei servizi e delle professionalità nel progetto di affido
Nel rispetto delle forme organizzative, definite dalle diverse normative locali, il
progetto di affido richiede l’integrazione tra servizi e professionalità differenti.
Raccomandazioni:
• E’ auspicabile la costituzione di una équipe affidi con compiti di
sensibilizzazione e diffusione sul territorio della cultura dell’affido,
selezione delle famiglie affidatarie, definizione degli abbinamenti
famiglia affidataria-bambino, gestione di gruppi di supporto alle
famiglie affidatarie, sostegno alle singole famiglie affidatarie;
• E’ inoltre necessaria la formazione di una équipe multidisciplinare
composta dagli operatori coinvolti nella gestione del caso, che si
costituisce nel momento in cui viene valutata la possibilità di attivare
un progetto d’affido specifico per un bambino. Tale équipe deve
essere formata da operatori che hanno il compito di valutare e
sostenere la famiglia affidataria, da operatori che hanno il compito di
valutare e sostenere il bambino e da operatori che hanno il compito di
valutare e sostenere la famiglia d’origine. Questa équipe si scioglierà
alla conclusione dell’affidamento familiare, con la stesura di una
relazione finale condivisa.
Reti di famiglie e ruolo delle associazioni
La legge n. 184/83, nell’affidare la titolarietà della promozione e della gestione
dell’affidamento familiare all’Ente Pubblico, prevede uno spazio di collaborazione
tra questo, le reti, le associazioni familiari e più in generale il privato sociale. In
accordo con le LI è quindi sempre auspicabile10 la collaborazione tra i servizi
pubblici, le associazioni e le reti familiari.
Raccomandazioni
• Le associazioni e le reti di famiglie affidatarie, in integrazione con le
istituzioni pubbliche, devono essere coinvolte alla realizzazione di attività di
informazione, sensibilizzazione e promozione dell’affidamento familiare sui
singoli territori e anche attraverso la stipula di protocolli di intesa per
attività di accompagnamento e sostegno alle famiglie nell’esperienza
dell’affidamento familiare.
FORMAZIONE E SUPERVISIONE
La complessità del progetto di affido comporta un bisogno continuo di formazione,
aggiornamento e supervisione. Si sottolinea l’importanza che gli operatori che
operano nel campo dell’affido, abbiano conoscenze approfondite riguardo le
dinamiche e le relazioni familiari, lo sviluppo infantile, la teoria dell’attaccamento,
le teorie del trauma e della perdita.
Raccomandazioni
• Appare indicato che la formazione sugli aspetti teorici e metodologici
dell’affido sia rivolta all’équipe multidisciplinare composta dagli operatori
coinvolti nella gestione del caso affinché si giunga ad un condivisione
delle prassi operative e si implementi una modalità di pensiero comune
e condivisa;
• E’ opportuno che la supervisione sia rivolta all’équipe affidi
relativamente compiti di sensibilizzazione e diffusione sul territorio della
cultura dell’affido, selezione delle famiglie affidatarie, definizione degli
abbinamenti famiglia affidataria-bambino, gestione di gruppi di supporto
alle famiglie affidatarie, sostegno alle singole famiglie affidatarie al fine
di sviluppare e mantenere aggiornata una professionalità specialistica ;
• Si ritiene necessario che la supervisione sul caso sia rivolta all’équipe
multidisciplinare composta dagli operatori coinvolti nella gestione del
caso al fine di rendere possibile condividere orientamenti e decisioni
operative a tutte le componenti della rete.
NOTE
(1) Membri della Commissione: Chicca Deplano, Stefania Deferrari, Marianna Giordano, Franca Seniga, Francesco Vadilonga (Coordinamento)
(2) Nel documento si usa la parola bambino come neutro di genere ed indicando il cittadino di minore età da 0 a 18 anni, salvo dove è necessaria una precisazione.
(3) In primo luogo con le “Linee di indirizzo per l’affidamento familiare” che rappresentano un potente strumento di orientamento nazionale delle pratiche dei territori redatte nel 2013 (http://www.tavolonazionaleaffido.it/files/linee_di_indirizzo_2013.pdf) dal Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, da altre istituzioni e da esperti indicati dallo stesso Ministero;
Si richiama inoltre alle Linee di indirizzo per l’affidamento familiare, versione ragazzi
(https://www.minori.it/it/node/6722) realizzate nel 2018 con la collaborazione dei membri del Tavolo
istituzionale per la redazione delle Linee d’indirizzo e per l’accoglienza nei Servizi residenziali per minori,
composto da rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e di altre istituzioni e da esperti indicati dallo stesso Ministero. Tavolo integrato operativamente da i coordinamenti nazionali: Cnca, Cismai,
Progetto Famiglia, Sos Villaggio dei Bambini, Agevolando, Papa Giovanni XXIII.
(4) I dati ufficiali a cui fare riferimento sono quelli relativi alla sesta edizione del monitoraggio realizzato dal Centro Nazionale di Documentazione per l’Infanzia e l’Adolescenza, pubblicato nel novembre 2017. Questi dati, mettono
a fuoco, oltre alla dimensione quantitativa del fenomeno, le principali caratteristiche dell’accoglienza nelle diverse realtà regionali italiane (età e genere dei bambini accolti, tipologia e durata dell’accoglienza, ecc.). Da circa un
decennio il numero dei casi annui si è stabilizzato su valori complessivi di poco superiori ai quattordicimila casi.
Per quanto riguarda la durata dell’affido, il rapporto rileva un trend che perdura ormai da svariati anni. Gli affidi che durano oltre i due anni sono complessivamente il 61,1%, dai 2 ai 4 anni il 18,8%, e oltre i 4 anni il 42,3%; la permanenza prevalente è indicata oltre i 4 anni. E’ interessante inoltre notare quando l’affido si conclude a quale collocamento approdano i bambini; abbiamo nel 33,9% dei casi il rientro in famiglia di origine, nel 16,3% dei casi il collocamento in un servizio residenziale, il 12,2% in affidamento preadottivo e nel 11,8% un nuovo
collocamento in affido familiare.
(5) Riferendosi al punto 224 delle LI sull’Affidamento familiare sviluppa procedure generalizzabili a tutti i bambini in affido.
(6) Come previsto dalle LI punto 331.2
(7) Si citano a titolo esemplificativo alcuni dei compiti che un progetto deve prevedere. Famiglia affidataria
- Accogliere e accudire il bambino favorendo lo sviluppo di sicurezza;
- Favorire l’appartenenza al nucleo di origine attraverso l’apertura comunicativa e la narrazione della
storia; - Favorire l’accesso ai genitori di origine secondo le modalità definite:
- Collaborare con gli operatori e partecipare al gruppo di sostegno per famiglie affidatarie.
Famiglia d’origine - Mantenere contatti con il figlio secondo quanto stabilito dal progetto;
- Riconoscere e convalidare il legame del bambino con la famiglia affidataria:
- Mettere in atto eventuali prescrizioni comportamentali;
- Collaborare con gli operatori e seguire i percorsi di sostegno e terapeutici.
Operatori - Valutare e conoscere i protagonisti dell’affido;
- Preparare e formare i protagonisti dell’affido;
- Avviare l’affido;
- Regolamentare i rapporti tra il bambino e la famiglia d’origine;
- Curare e sostenere le relazioni;
- Definire le modalità della conclusione.