Il lavoro in comunità al tempo del Covid 19: un lavoro da trasformisti!

Sono giorni molto complessi per ciascuno di noi. Giorni che non sembrano finire mai e che lasceranno un segno, indelebile. Ci sarà un prima e ci sarà un dopo la pandemia da Covid-19.
Il Cismai non può che pensare, con apprensione e preoccupazione, a tutti i minori in fragilità: bambini e ragazzi che vivono nelle comunità o nelle case famiglia perché vittime di violenza, abusi, maltrattamenti, incuria.
E non potevamo certo trascurare tutti gli operatori chiamati a svolgere il loro compito in condizioni che si sono fatte davvero difficili, tanto da richiedere risposte ancora inesplorate. Abbiamo così raggiunto i nostri soci con una comunicazione allo scopo di non farli sentire soli perché è necessario che ci sentiamo ancora comunità, ancora insieme, ancora uniti.
Ieri abbiamo sottoscritto, insieme a numerose altre associazioni, una lettera appello rivolta alle Istituzioni perché la tutela e la cura dell’infanzia e dell’adolescenza non può interrompersi nonostante siano necessarie tutte le misure di protezione.
Oggi, e poi per i prossimi giorni, pubblicheremo brevi riflessioni dedicate al tema della cura, della tutela, del lavoro degli operatori nei giorno della pandemia. L’obiettivo è quello di esprimerci come una comunità intenta ai propri doveri, una comunità attenta. Ma soprattutto vorremmo lasciare una traccia, un percorso che ci aiuti ad affrontare il dopo, a riprendere in mano la situazione e a programmare le nostre attività future non come se questi giorni non fossero mai trascorsi.
La prima riflessione è di una nostra Consigliera, Monica Procentese e si intitola: Il lavoro in comunità al tempo del Covid 19: un lavoro da trasformisti!

Buona lettura!!

Il tempo si dilata, aumenta, si espande.
Il tempo tanto desiderato nella routine delle nostre giornate, ora sembra essere sovrabbondante. Questo ci aiuta a riflettere e a confrontarci.
Vale per tutti e soprattutto per chi, come noi, si occupa di tutela e protezione dei bambini e ragazzi in comunità.
#iorestoacasa è il messaggio da ricordare, per tutti. Dobbiamo stare al sicuro, con le nostre famiglie.
Ma c’è chi una casa non ce l’ha e chi, pur avendola, non vive con la propria famiglia: sono i nostri bimbi, i nostri ragazzi che vivono in comunità.
Le comunità sono un servizio residenziale e non può sospendere le sue attività, non può allontanare nessuno per “sicurezza” perché proprio per la loro “sicurezza e protezione” sono stati accolti, allontanati da famiglie maltrattanti e abusanti.
La comunità resta aperta per 24 ore, non può fare orario ridotto e anzi ora, più che mai, con il tempo dilatato, i giorni della settimana non hanno più confine: mancano la routine, le abitudini, la scuola, lo sport che sono parte del lavoro educativo. Un lavoro che ora va reinventato.
Da settimane anche i nostri bambini sono a casa e trascorrono le loro giornate ricercando, insieme agli adulti/educatori, attività creative, stimoli, modi per evadere anche solo scendendo in cortile a giocare a palla (dove il cortile c’è!). E si partecipa a tutte le iniziative proposte: radio accese, collegamenti a piattaforme, canzoni dal balcone.
Gli educatori e le educatrici al tempo del coronavirus, conservano il loro turno di lavoro regolare trascorrendo il tempo con bambini e bambine, cercando di rendere questo tempo ricco di esperienze diversificate.

Nelle comunità gli educatori RESTANO e RESISTONO
Resistere a cosa?
Resistere alle difficoltà della didattica a distanza che si moltiplica per 3 per 4 per 5 e per 6! Per ognuno un sistema di invio compiti, per ognuno una APP un sito. Senza poter contare di tanti dispositivi contemporaneamente.
Resistere alle insistenze dei grandi e dei piccoli che chiedono di uscire. Gli educatori spiegano loro la gravità di ciò che sta accadendo.
Resistere perché bisogna mantenere la distanza, ma nel lavoro pedagogico e relazionale è praticamente una missione impossibile.
Mantenere LA DISTANZA è complicato in un mestiere che prevede invece tanta VICINANZA:  il piccolo a cui cambiare il pannolino, l’altro a cui dare da mangiare e l’altro ancora che chiede una carezza o un abbraccio per calmare la sua inquietudine. E’ difficile non accostarsi a chi ti viene incontro al mattino appena sveglio per darti un abbraccio del “buongiorno”. E’ difficile non toccare chi ha bisogno di contenimento, non prendere per mano chi tenta di uscire dal cancello per “scappare” perché non resiste.

Per questi bambini è ancor più faticoso restare “dentro”: dentro hanno il loro vissuto di grande sofferenza, restare dentro e fermi significa pensare e pensare può fare male.
Allora che si fa?

Gli educatori diventano trasformisti: animatori da villaggio, DJ, docenti, allenatori. Suppliscono all’assenza degli psicologi e di altre figure di specialisti che non possono più entrare in comunità. Danno maggior ascolto ai bambini e ai ragazzi. Fanno fronte alla sospensione delle terapie perché skype non basta. Si trasformano in psicomotricisti o logopedisti.
Si resiste perché siamo chiamati alla tutela dei bambini e dei ragazzi in fragilità, perché crediamo in ciò che facciamo e sappiamo come farlo, nonostante le difficoltà. Si resiste perché anche se questo è un tempo che si dilata, sappiamo che c’è il futuro che ci attende. La tutela e la cura dei più fragili non si ferma, non può perché in gioco c’è il futuro di questi bambini e ragazzi che ci sono stati affidati.

Monica Procentese
Responsabile d’area strutture residenziali comunità per minorenni
Consigliere del Drettivo CISMAI

cooperativa sociale Irene ’95

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