Molte reazioni social a Leaving Neverland di Dan Reed hanno mostrano pregiudizi, ignoranza e luoghi comuni verso le presunte vittime di Michael Jackson. Lo spiega la neuropsichiatra Malacrea.
Leaving Neverland non è stato un successo, si è fermato al 2% di share e a 469 mila spettatori, non ci ha dato certezze, prove nuove e inconfutabili, elementi per giudicare ex post il re del pop Michael Jackson. Quattro ore di testimonianzesenza contraddittorio non possono sostituirsi o cancellare anni di indagini e due processi.
Eppure il film di Dan Reed una risposta l’ha data: ci ha confermato che siamo lontanissimi da un riconoscimento consapevole del ruolo della vittima e delle dinamiche che possono muovere le sue azioni. Mettiamo in dubbio le parole di chi sostiene di aver subito abusi e lo facciamo con argomentazioni che denotano una scarsa conoscenza del tema, siamo abituati a ragionare in termini di bianco e nero e non conosciamo scale di grigi. Così su Twitter, nelle ore in cui il documentario andava in onda sul Nove, i fan di Jackson demolivano un pezzo alla volta lacredibilità di Wade Robson e James Safechuck. Sì, una persona che ha subito violenze sessuali da bambino può negare con fermezza tutto davanti a una madre che glielo chiede esplicitamente, portare avanti per anni una vita normale, prendere le difese del suo abusante, mettere su famiglia e avere dei figli.
«Non c’è niente di inverosimile in tutto questo», spiega a Lettera 43 Marinella Malacrea, neuropsichiatra infantile responsabile diagnosi e terapia nel Centro Tiama (Tutela Infanzia e Adolescenza Maltrattata) di Milano, autrice di libri come Bambini abusati, Linee guida nel dibattito internazionale e Curare i bambini abusati. «Si tratta di fenomeni impensabili, è l’incredulità stessa, il rifiuto, che genera i luoghi comuni», ha aggiunto, «si parla dibomba a orologeria. Ho curato parecchi bambini abusati, alcuni, dimessi a 12 anni, sono tornati quando ne avevano 16 dicendo di non ricordare bene o di dubitare anche di ciò che hanno rivelato in epoca infantile ed era documentato in atti giudiziari. In un caso particolarmente eclatante l’abusante aveva confessato, ma l’abusato aveva dubbi».
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