Riceviamo e volentieri pubblichiamo il racconto del centro socio “Il Mandorlo”, da subito in piena zona rossa, nel lodigiano. Un racconto emozionante e intenso che speriamo potrà essere utile a tanti centri che in questi mesi hanno dovuto riorganizzare il loro lavoro e il loro respiro.
Voci dal Mandorlo – Zona Rossa
Sono ancora a letto. Stefano si sta preparando per andare al lavoro, ma rientra in camera per darmi la notizia appena letta: “primo caso di Coronavirus a Codogno”. Io non ci posso credere, stoppo tutto quello che potrei provare come effetto della notizia. Proseguo senza esitazioni nella mia organizzazione. Stamattina c’è la supervisione.
21 febbraio. La notizia mi arriva mentre faccio colazione, oggi ho gli incontri di educazione alla sessualità nelle scuole superiori. È il mio compagno a darmela, ha ricevuto un wazzapp da un amico che recita testuali parole: “Mattia Maestri primo caso di coronavirus in Italia”. Me lo legge, ed io scoppio a ridere. “Figurati”, gli dico, “ti avranno preso in giro!”.
Dev’essere uno scherzo per forza. Continuo a prepararmi, ma mi scontro presto con la realtà. Il telefono progressivamente impazzisce, messaggi su messaggi, da amici e conoscenti. Il paziente uno lo conosciamo. Non siamo amici, ma abbiamo una miriade di amici e conoscenti in comune. Come starà? E la moglie, Valentina, incinta al sesto mese? Come starà lei? E se avesse infettato qualcun altro? E se noi fossimo tra quelli? Ma non ho tempo, devo correre a scuola.
È il 21 Febbraio. Mi alzo, è presto e non ho dormito molto durante la notte perché devo andare con Chiara in UONPIA per un incontro importante. Mi preparo come tutte le mattine e mi avvio a Casalpusterlengo assorta nei miei pensieri. Io e Chiara ci fermiamo a confrontarci prima della visita e entriamo concentrate. Passano due ore, uscite guardiamo i nostri cellulari che nel frattempo erano in fermento. Tante chiamate e messaggi… C’è un caso di Coronavirus a Codogno…
21 febbraio 2020 ore 9,30 al Mandorlo c’è fermento come sempre quando c’è la supervisione, è un momento di evoluzione rispetto alle situazioni complesse, ma oggi anche se mancano alcuni operatori il fermento sembra essere più rumoroso…
Si continuano a guardare i cellulari, si leggono notizie, arrivano messaggi… Da subito, molti modi di affrontare quella che sarà un’emergenza, ma che per ora sembra come una nevicata fuori stagione.
Da lì, in pochi attimi, i fruscii, i commenti prendono spazio, le espressioni dei volti cambiano, tutto cambia. Le emozioni invadono la sala di preoccupazioni, timori, paure e rabbia. L’intensità aumenta, si chiede una pausa che durerà più a lungo del solito.
Guardo con sguardo distante, c’è confusione e paura. Giovanna, psicologa dell’emergenza, si mette al centro della stanza e con voce calma e nello stesso tempo assertiva ci riporta al qui ed ora, con semplici parole su ciò che sta accadendo e su cosa sia importante fare.
Gloria Soavi ci saluta con un movimento del braccio che forma un arco in segno di saluto e di stop, lo sguardo fermo e un gran sorriso di conforto, come è solita a fare anche nelle situazioni gravi.
Un fuggi fuggi generale lascia il Mandorlo in silenzio. Rimango con Enrica e Stefania ad organizzare la chiusura.
Frettolosamente si chiude la supervisione e si decide di tornare alle proprie abitazioni, disorientati come quando la neve rende tutto bianco e non si riconoscono più le strade.
Chi rimane vuole sistemare le cose in sospeso, le informazioni che arrivano attraverso i social sono che ci sarà una chiusura della zona come protezione e limitazione del contagio, e quindi cerchiamo di prendere la documentazione utile in caso di impossibilità a muoversi.
Si parla di paziente 1 un linguaggio distante dal linguaggio del Mandorlo. In questo venerdì tutto sta prendendo forme nuove.
Sento il comune di Casale. Annullato centro ricreativo per le vacanze di carnevale.
Chiuse le scuole per due settimane. Si vanno a prendere i bambini prima dell’orario di chiusura: “Cosa gli dico? Come glielo spiego?”
Annullati incontri di educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole di Codogno. Sono preoccupata: come faremo a riorganizzarci? Vedremo come fare… Inizio a fare delle ipotesi.
Annullata giornata di sensibilizzazione sull’affido famigliare. Mi organizzo da remoto per finire un percorso di conoscenza con una famiglia candidata all’affido. I bimbi che abbiamo nella testa e nel cuore dovranno aspettare ad avere qualcuno che li prenda per mano e li aiuti a crescere.
Il sabato e la domenica assumono significati sconosciuti, siamo in zona rossa, i contagi sono soprattutto in dieci comuni limitrofi e per adesso non ci si può muovere dal proprio comune, i negozi si chiudono. Avviene l’ufficializzazione della zona rossa: si parla di emergenza sanitaria, le connotazioni sono negative, salgono lo sconforto, la paura e il sospetto, ma anche dopo la botta, l’appartenenza ad una zona dove tutti e tutte siamo nelle stesse condizioni.
Il lunedì non si riprende il lavoro al Mandorlo. Ci si sente telefonicamente e si decide come affrontare l’emergenza, come rassicurare i nostri utenti, come essere presenti pur stando lontani, ci sono situazioni che non possono aspettare, in primis i bambini e le bambine, ma anche le persone fragili che già hanno le loro ansie e vulnerabilità.
Anche il fuori fa la sua parte nel rendere difficile il tutto. C’è un silenzio a tratti assordante, una sensazione che insolitamente si riesce a vivere. C’è il sole e la natura è nel suo sbocciare, ma la vita fuori è surreale. Sembrano i giorni di Ferragosto, con una temperatura più bassa. Le TV sono accese e i canali trasmettono notizie allarmanti.
Mi attraversano tanti pensieri, misti a emozioni di paura. Inizia in me la voglia di capire cosa sta succedendo, e decido di ascoltare i canali e le notizie che reputo attendibili. Mi confronto con chi sa interpretare i dati. Rivivo le sensazioni già vissute ai tempi in cui il virus HIV è arrivato in Italia.
Il fuori e il dentro. Nello spazio della casa e della città. Cosa capita in me e negli altri.
Nel silenzio assordante una domanda: “I bambini? Dove sono? Sono spariti. Sono chiusi in casa. Non si avvertono le loro urla e il chiacchiericcio. Non sono a giocare nel parchetto. Non si vedono correre trafelati al pulmino delle 7:20.
Penso ai bambini: chissà come si sentono, cosa pensano guardando dal basso verso l’alto questi adulti improvvisamente privi delle loro certezze.
I giorni passano, il lavoro da casa è un po’ diverso, si deve prendere confidenza con gli strumenti elettronici.
In un primo momento il pensiero va ai bambini che sono contenti di non andare a scuola perché è come stare in vacanza. Poi però la lontananza dai compagni si fa sentire e penso anche a quei bambini per cui la scuola è uno spazio e un tempo dove stanno meglio che non a casa.
La sensazione di vivere una vita surreale in prima persona, come in un film, mi rimarrà per tanto tempo. Una situazione insidiosa come il virus che ci ha costretti e ci costringerà a cambiare le nostre vite per un lungo tempo.
Ho visto la mia città rallentare, spegnersi. È come se stessi rendendomi conto che il Coronavirus, dalla distanza di migliaia di km, sia arrivato con furia improvvisamente qui, in un paese della Bassa mai nominato, dove non c’è neanche l’uscita dell’autostrada, e che adesso è sulle tv nazionali, sulle testate giornalistiche. Quando esco a far la spesa sono intervistata da tv francese.
Vivo in provincia di Pavia e qui le cose sono diverse: possiamo uscire, tutti i negozi sono aperti, non si usa la mascherina. Concordo con le due colleghe che possono transitare in Zona Rossa di portarmi dei documenti per poter lavorare da casa e io porto a loro le mascherine trovate per fortuna in una farmacia vicino a casa.
Solo in questo momento realizzo ciò che è veramente la quarantena. Non sono pronta a tanta attenzione a ciò che tocco, non posso avvicinarmi alle colleghe, salutarle bene… Lasciamo le borse in un punto indicato dalle forze dell’ordine e ci allontaniamo per permette ad ognuno di prendere il materiale portato.
Eccoci già nella seconda settimana di Zona Rossa, in cui chi vive all’interno si può spostare e da lì un po’ si rinasce. Al Mandorlo le riunioni via Skype ci fortificano e prende piede una task force che mobilita tutta la creatività che esce dopo la prima fase di stordimento.
La consapevolezza di essere in quarantena, di vivere una condizione che Bessel van der Kolk definisce “pre-traumatica”. Una condizione che potrebbe preparare il terreno allo sviluppo di una traumatizzazione psicologica, poiché coinvolge diversi aspetti centrali per la nostra vita: la sicurezza fisica e la malattia, le condizioni economiche e il costo psicologico del vivere rinchiusi in casa e separati dagli altri.
I giorni passano e il tempo è lento. Chissà i pazienti, i miei colleghi come stanno, cosa pensano… I miei pazienti più piccoli cosa vedranno?
Finalmente si inizia il lavoro in smart working, un piccolo segnale di ripresa… Email email, tante email, ma mi sento viva… Operativa… E poi le equipe su Skype. Ho pensato che ho tanto svalutato questo strumento divenuto il nostro strumento di lavoro… Finalmente ci vediamo… È bello vedere i volti e parlare… E confrontarsi…
I giorni passano e voglio tornare al lavoro… Alla mia routine, ai miei pazienti. Mi chiama Enrica per passarmi un caso e ci accordiamo per fare la chiamata al Mandorlo. Si ritorna, che bello! Una sensazione di vita!!! Penso a chissà questa ragazza cosa ha pensato? Come ha vissuto questi giorni? Domande che stanno aspettando una risposta…
Ripercorrendo questo periodo mi domando se ci servirà… Nelle modalità di vita, di pensiero… Cosa si ricorderanno i nostri bambini? La memoria è sorprendente.
Facciamo la prima equipe in videoconferenza. Stranissimo, ma ce la facciamo. Io quando ci salutiamo mi commuovo. Mi mancano le mie colleghe, condividere gli spazi del consultorio, litigarseli perché non ci stiamo più, toccarsi, sfiorarsi, sorridersi. Abituarsi (ma ci si abitua così in fretta?) a tenersi a mente da lontano. Mi vengono in mente i bambini delle nostre famiglie fragili: chi li tiene a mente in questi giorni così strani?
Il 9 aprile il consultorio riapre. La notte prima non dormo al pensiero di riprendere, ma poi rivedere i visi delle cape, anche se parzialmente coperti dalle mascherine, parlare con loro, fare socializzazione che sia altro da quella tra le mura domestiche, è anche un toccasana. Mi rendo conto che paradossalmente l’ansia e la paura sono più alte stando rintanati in casa, che il rischio percepito talvolta non è realistico, e che con le dovute precauzioni lavorare è sicuro, oltre che necessario. Ora più che mai leggo nelle donne in gravidanza il bisogno di avere un riferimento, di non sentirsi sole, ma accompagnate, seppur a distanza o con una mascherina. Nei primi tempi anche le gravidanze fisiologiche rischiano di “scavallare”, di diventare patologiche, le donne non dormono, non escono, hanno la pressione alta. Dare loro spazio, ascolto, informazioni corrette ed aggiornate, consigli su come scandire la giornata, su come occuparsi di sé, le aiuta, può fare la differenza. A volte anche il solo esserci. Habiba, 24 anni, prima gravidanza, al telefono mi dice: “Ora che ti sento, sto bene”.
Al Mandorlo ricevo le donne che vengono per le visite ostetriche e ginecologiche. Le gravide sono quelle che avvertono di più il disagio di questa condizione: faticano a respirare e sono più attente ad indossare i dispositivi. Le osservo e penso con un po’ di tristezza al non poter vivere serenamente questa fase di vita. L’organizzazione burocratica e l’aggiornamento dei vari decreti hanno un peso per la progettazione futura ed è sempre più difficile pensarsi diversamente.
Il consultorio ha riaperto. Le “cape” sono completamente coinvolte dall’organizzazione, che è faticosa. Ginecologa e ostetrica operative al 100%. Anch’io torno al lavoro, i miei pazienti vengono quasi tutti. Con un paio che abitano fuori dalla Zona Rossa mi organizzo da remoto.
Accolgo i pazienti con la mascherina. Non ci tocchiamo. Ho distanziato un po’ le poltrone in stanza. Vado avanti così.
Il virus infetta tutti i discorsi, le dinamiche però restano quelle, qualcuna un po’ più incendiata, soprattutto a livello di conflitto famigliare. Cerco di tenere il filo del lavoro fatto in precedenza, di non chiudere anche quello fino a data da destinarsi, ma è necessario accogliere questioni dell’immediato.
La cadenza degli incontri è molto importante per scandire il tempo dell’isolamento.
Un respiro profondo per recuperare l’aria ogni volta che l’ansia prende il soppravvento. Non mi sono sentita immune dalla paura, dall’angoscia e dal terrore nonostante si possa pensare che “una psicologa dovrebbe essere attrezzata”.
Un respiro profondo per rimanere ancorata alla terra ogni volta che con i pensieri volavo lontano, per non sentire troppo la paura e per non sentirmi sospesa in uno spazio e in un tempo senza un poi.
Penso che questa immagine possa ben rappresentare “il sentirsi sospesi”. Ognuno nel proprio palloncino, fatto di aria, dentro e apparentemente protetti.
Penso al mio lavoro come psicologa in un momento come questo e penso che quello che faccio con i miei pazianti sia soffiare un pò di aria nei loro palloncini, per aiutarli a respirare e per non farli volare via.
C’è la mia parte corporea ferma, i gruppi sciolti. Ho caricato due video sulla pagina Facebook del Mandorlo e mi sto organizzando per dare stabilità e continuità alle attività che solitamente propongo in consultorio.
Chissà che movimenti deciderebbero di fare se li lasciassimo parlare, i corpi. Bambini e adolescenti sicuramente di contatto, radicamento e di liberazione. Adulti di contatto con sé per ritrovare un centro e poi aprirsi, di scioglimento delle tensioni, di attività che riportino al qui ed ora per poter pensare a un dopo.
Voglio continuare ad incontrare le persone se per loro è importante. Possiamo farlo, siamo organizzati bene.
Inizio a pensare ai lavori che fanno i miei pazienti: avvocato, infermiera, maestro… Penso che hanno tutti la responsabilità di altre persone. Che se io ci sono per loro, loro possono esserci per altri. Penso che se ciascuno si prende cura degli altri attraverso il proprio mestiere possiamo affrontare questa situazione assurda. Prendersi cura: un intento, una motivazione, un diritto, una medicina, una via d’uscita…
E poi ci sono loro i nostri piccoli pazienti. Loro sono in una condizione ancora più particolare. Loro, ancora una volta nella loro vita forse, non hanno la possibilità di scegliere cosa fare. Siamo noi adulti responsabili per loro: percorsi di affido sospesi, incontri protetti trasformati in video chiamate e sedute di sostegno psicologico fatte tramite uno schermo. Se è vero da un lato questo che ci tiene separati fisicamente da loro, dall’altro però ci permette forse di entrare in modo incredibile in quella che è la loro sfera più intima e concreta. Così durante gli incontri ci mostrano quelli che sono i loro pupazzi preferiti, le costruzioni fatte da loro con i lego o libri che stanno leggendo. Insieme a loro si possono così fabbricare strumenti ad hoc che li rendono ancora più attivi nel loro processo di crescita e cura della loro fragilità, facendoli così sentire maggiormente al centro del loro mondo e facendoci riflettere, come altrimenti non avremmo avuto modo forse, sul fatto che il nostro intervento nelle loro vite è parte di una più ampia complessità. Il nostro sguardo sul contesto si può dire che non è mai stato così vivido, attento ed elastico.
Ognuno porta pezzi di sé e il proprio modo di vedere e vivere questo momento, in linea e in modo autentico con il proprio essere.
Mantengo stretti tra le mie mani i loro fili fiduciosa che, nel vento delle incertezze, la speranza è come un soffio che accarezza il respiro.
Da tutte queste emozioni, da tutti questi pensieri nasce negli operatori del Mandorlo la consapevolezza che, unita alla cultura del trauma sviluppatasi negli ultimi decenni è utile per capire come affrontare la situazione attuale nel nostro piccolo, in modo che sia più adattivo per la mente.
Ecco quindi che la finalità che la task force del Mandorlo si è posta è stata di come poter nutrire la nostra salute mentale durante la pandemia di COVID-19.
I punti che abbiamo voluto sviluppare nella relazione tra di noi e con le persone già in carico prima del 21 Febbraio sono stati:
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Il ritorno alla prevedibilità creando una routine degli appuntamenti, suggerendo delle attività che permettano di tenere uno sguardo proiettato in avanti e collocandolo in un tempo definito e organizzato, anche se chiusi in casa.
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Scrivere e creare un calendario di attività ludiche, relazionali o lavorative da condividere a secondo del target ( bambini, adulti, anziani e persone fragili)
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Dare spazio all’aspetto emotivo dando voce alle emozioni provate e all’ ascolto delle stesse. Imparare l’autoregolazione emotiva con esercizi di mindfulness e di danza movimento terapia ed esercizi di respirazione,che hanno lo scopo di calmare il corpo, restituire un senso di sé e offrire un’ ancora forte per contenere, aiutare e orientare tutte le normali reazioni fisiologiche di questo periodo
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Dare suggerimenti concreti e precisi seguendo indicazioni e vademecum EMDR
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Guidare le persone a effettuare un passo alla volta su attività funzionali cooperative e non dannose per la salute
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Mantenere la connessione visiva attraverso interventi da remoto
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Utilizzare supporti video per i bambini ( ad esempio “Guida galattica al coronavirus per bambini e bambine curiosi” )
Particolare attenzione è stata posta agli interventi educativi che alcune colleghe svolgono con le bambine e i bambini dei Comuni della Zona Rossa, anche autistici, e con le loro famiglie. La riprogettazione e la ripresa degli interventi è partita dal convincimento che mai come in questo periodo sia necessario garantire, anche se con forme nuove e inusuali, i diritti dei bambini di avere relazioni calde, continue, protettive, di poter avere continuità e sostegno didattico, di poter percepire sicurezza pur nella tempesta, struttura e contenimento pur nel tempo dilatato, prevedibilità pur nei giorni senza confini, speranza pur nella stagnazione.
I bambini hanno bisogno di adulti che ne garantiscano la cura e la protezione, nella crisi, aiutandoli a traghettare fuori di essa con competenze nuove .
Cosa abbiamo fatto?
Siamo partiti con l’aggiornamento del sito che attivava uno sportello d’ascolto
Abbiamo pubblicato sulla nostra pagina facebook dei video settimanali con pillole di benessere corporeo e mindfulness
Abbiamo strutturato le video chiamate con psicoeducazione per persone e bambini in carico
Abbiamo inziato anche nuove prese in carico con video chiamate di persone che ci hanno contattato per la prima volta, spesso sulla scia di bisogni generati dalla situazione covid
Abbiamo cercato il più possibile di presidiare e mantenere la rete con i servizi tutela minori e comunità per minori
Abbiamo aderito ed attivato lo Sportello CON NOI COVID 19 in collaborazione con Regione Lombardia
Collaboriamo con il Comune di Casalpusterlengo con l’attivazione di uno sportello di sostegno psicologico rivolto ai dipendenti comunali, in prima linea dal primo giorno sull’emergenza
Abbiamo garantito il funzionamento del nostro ambulatorio ginecologico, soprattutto per il sostegno e la presa in carico delle donne in gravidanza
Abbiamo aderito al Numero verde allattamento, con la nostra ostetrica, per supportare le mamme, anche e soprattutto in questo momento di crisi, a stare in contatto col proprio bambino, per favorire una buona crescita e una buona relazione, attraverso il contatto fisico, forte fattore preventivo per il mantenimento del benessere fisiologico, emotivo e relazionale della diade.
E non ci fermiamo qui, intendiamo fare molto altro ancora…..
Enrica, Direttrice del Mandorlo e counsellor
Stefania, counsellor
Carla, danza movimento terapeuta
Eleonora, ostetrica
Lisa, psicologa
Federica, psicologa
Marzia, psicologa
Alice, psicologa