Una lettura analitica di “Hostia – l’innocenza del male”

Il romanzo dell’abuso

 

di Mimma Infantino

Psicoterapeuta, psicoanalista relazionale Isipsé, membro IARPP

 

Hostia, l’innocenza del male di Federico Bonadonna, è un romanzo sull’abuso e maltrattamento ambientato a metà degli anni Ottanta. Uno dei protagonisti è Martino, un giovane psicologo a capo dei servizi sociali nella circoscrizione immaginaria del “Litorale” di Roma. La sua vita personale è scandita dai conflitti con sua madre, una donna separata affetta da disturbi della personalità e alcolismo; da quelli con la sua fidanzata Lorenza che lui tradisce compulsivamente e da quelli con suo padre, un impiegato dell’azienda del gas con una forte passione politica da dirigente locale in disgrazia nel P.C.I. Nel suo lavoro irrompe il caso sociale di Emma, una bambina di sette anni violenta ed esibizionista di cui i suoi genitori vorrebbero disfarsi perché, dicono, ha il diavolo in corpo.

Martino cerca di allontanare la bambina dalla famiglia, ma è osteggiato dal suo superiore, un’assessora potente e ambiziosa. L’ambientazione temporale nella metà degli anni Ottanta, con la legge sull’affido dei minori appena approvata e il D.Lgs. 29/93 che separa la funzione politica da quella tecnico-amministrava di là da venire, consente all’autore di giocare con la possibilità da parte dell’assessore di condizionare le scelte dell’affido da parte del servizio sociale. L’alleanza spontanea fra il ruolo di Martino, psicologo, e l’assistente sociale rappresenta un’anticipazione del necessario lavoro di equipe multidisciplinare fra figure professionali differenti, più propria degli anni successivi. Sconvolto dall’ambiente famigliare degradato e dalle manifestazioni parossistiche di Emma, Martino decide di riprendere il suo percorso analitico.

Alla ricerca delle cause che portano Emma a picchiare i compagni di classe, masturbarsi a sangue e svenire, Martino scoprirà, tramite un disegno rivelatore, che la bambina è la protagonista di una serie di video pedopornografici girati e venduti dal padre.

Solo alla fine emergerà una lunga catena di abusi che rivelano il collegamento trigenerazionale che coinvolge tanto Emma, di estrazione sottoproletaria, quanto Martino, di famiglia medio-borghese. Il romanzo è ricco di segni rivelatori dell’eredità neurobiologica del trauma. Il trauma si inscrive nelle carni, nel corpo e porta con sé i segni dell’allarme fino all’età adulta.

In questo senso l’esergo di Sartre, “libertà è ciò che facciamo di quello che ci è stato fatto” rende chiaro sin dall’inizio che tutti i principali protagonisti sono vittime della catena degli abusi e che l’analisi ricopre un ruolo principale per interromperla.

 

Il fiume

Martino vive su una barca abbandonata in uno dei canali laterali del Tevere che fa da cornice e da sfondo a tutta la storia fino ad assumere il ruolo di terzo protagonista del romanzo. La risalita del fiume in gommone dalla foce verso una misteriosa torre medioevale nel quartiere di Trastevere, dove ora vive la sua terapeuta, rappresenta la metafora del percorso analitico: il passaggio dalla periferia, dal dolore, dal margine, fino al proprio centro che, mediante l’attraversamento dei pericoli e la sporcizia delle acque del fiume, consente l’elaborazione del trauma.

Le case popolari, il reparto psichiatrico dove viene ricoverata la madre di Martino con un TSO, il conflitto politico. E ancora: l’eroina, il mare torbido e una galleria di personaggi, vittime e carnefici allo stesso tempo, danno a Hostia (che in latino significa “vittima sacrificale”) un ritmo serrato e incalzante.

Utilizzando le forme del racconto familiare, del noir e dell’horror, questo romanzo trascina il lettore attraverso una serie di eventi sconvolgenti la cui chiave è nell’ultima parola rivelatrice. Hostia è un romanzo avvincente che ha il potere di raccontare il trauma e la catena degli abusi intergenerazionali al di là dei circuiti classici dei clinici e degli addetti ai lavori, con un linguaggio duro che arriva dritto al cuore. Sarà il combinato disposto  dell’allontanamento dalla famiglia abusante associato alla disponibilità all’ascolto terapeutico di Emma da parte di Martino ad avviare il processo di lenta consapevolezza e infine di cambiamento. Sia Emma che Martino, grazie alla loro relazione terapeutica, accederanno alla capacità di attivare risorse, per l’appunto la resilienza, che rappresenta il  lungo filo conduttore di tutto il romanzo che sfocia infine nella speranza.

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